Domenica 12 giugno non sarò tra quanti vanno a votare per i referendum sulla giustizia. Non ci andrò per due semplici ragioni, una di metodo e l’altra di merito. Sul primo punto, chi ha promosso i quesiti (la Lega più che i radicali, comunque un singolare connubio) l’ha fatto per una mera battaglia politica, certamente legittima ma animata più da un desiderio di vendetta nei confronti della magistratura che da un disegno riformatore che miri davvero a correggere o eliminare le storture. Ed è singolare che un partito di governo deleghi ai cittadini quel che non ha saputo o voluto cambiare in Parlamento.
Sul merito, i quesiti sono così tecnici che mi rifiuto di metterci becco. Cosa ne può sapere un comune mortale dei meccanismi di elezione del CSM o di come e da chi devono essere giudicati i magistrati? L’attendibilità di un voto su queste materie è la stessa di una lotteria. Non a caso si utilizzano slogan populisti per solleticare i pruriti superficiali degli elettori.
A scanso di equivoci, credo sia alla necessità di una vera, compiuta e coerente, riforma della giustizia sia al valore e all’importanza dello strumento del referendum. Ma non per queste materie e non per questi intenti. Mi asterrò (facoltà prevista dalla legge) e non voterò “NO” perché non intendo legittimare un’operazione che ha ben altri obiettivi rispetto a quelli dichiarati. Buon voto, e massimo rispetto, per chi deciderà diversamente.