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Cerimonie commemorative si terranno oggi in tutta la Val di Scalve a ricordo del disastro provocato dalla diga del Gleno il primo dicembre del 1923. I morti sono accertati sono 356 molti i dispersi tra cui molti neonati non ancora registrati all’anagrafe comunale. Una strage, un Vajont dimenticato. E un crollo sul quale ancora oggi, 100 anni dopo, non ci sono certezze.

I ruderi della diga sono sempre lì in mezzo alla montagna, maestosi e spettrali, con quell’enorme squarcio che guarda sulla valle. Una gigantesca ferita che racconta una tragedia dimenticata dalla cronaca e dalla memoria del nostro Paese. In Italia siamo solo capaci di ricordare gli eventi politici ma dove c’è stata l’incuria dell’uomo quello passa nel dimenticato nonostante il gran numero di vittime. Erano le 7.30 quando un boato, il vento e poi la massa d’acqua che dall’alto travolge tutto e tutti. Sono circa le 7.30 del mattino quando la struttura cede nella parte centrale e sei milioni di metri cubi di acqua iniziano a correre lungo la valle spazzando via interi paesi in Val di Scalve: Bueggio, subito sotto la diga, e poi DezzoMazzunno Corna di Darfo, in Valle Camonica, fino a raggiungere il lago d’Iseo. Tutto in 45 minuti.

Il Lago supera i livelli di guardia. Numerosi sono stati gli eventi commemorativi celebrati in Valle, in città fino ad una Mostra nei Palazzi della Comunità Europea a Bruxelles e ancora oggi è tutti sono la ricerca delle cause del crollo della diga.come emerge anche da uno studio condotto nell’ultimo anno dall’Università di Bergamo (che in occasione del centenario della tragedia ha pubblicato un libro sul Gleno: «A partire da quel che resta»). Sulle ragioni del disastro ci sono diverse ipotesi: il cambio di progetto durante i lavori senza le autorizzazioni necessarie, errori di costruzione, piccoli eventi tellurici o, la più accreditata, l’utilizzo di materiali scadenti. Tutte le possibilità, sono state ipotizzate ma una risposta definitiva non c’è.

I lavori per la diga iniziano nel 1916 e si concludono nel 1923. Un’opera all’avanguardia, per l’epocaInizialmente il progetto prevede la realizzazione di una diga a gravità, poi il cambio in corsa per passare a una ad archi multipli. Il risultato finale è una struttura imponente: lunga 260 metri a 1500 metri di altitudine. Un’opera voluta e fatta costruire da Virgilio Viganò, proprietario di cotonifici in provincia di Bergamo che necessitavano di energia idroelettrica a basso costo. Il 15 ottobre 1923 il bacino è pieno per la prima volta, è un periodo piovosissimo e dalla diga si verificano numerose perdite d’acqua. Gli abitanti, segnalano la situazione ma, come riportato dalla cronaca del momento, nessuno interviene. Il 22 ottobre 1923, il capo del Genio Civile di Bergamo, essendo la diga piena, sale lassù dove era già caduta una prima nevicata per un collaudo ufficioso constatando alcune perdite dal muraglione ma tutto è garantito al collaudo, poco più di un mese il crollo che ha colpito non solo l’Italia ma l’Europa intera.

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