Il finale del Tour de France ci ha stupito, forse perché nel ciclismo moderno siamo poco abituati a colpi di scena come quello della cronometro finale di Planche des Belles Filles. La corsa a tappe più celebrata è stata controllata dall’inizio alla fine dalla squadra dello sloveno Primož Roglič, anche se non ha mai dato l’impressione di dare una botta da padrone in nemmeno una tappa. Sembrava essere la classica gestione alla Indurain con la cronometro finale a decretare il successo.
E invece succede il ribaltone proprio sul terreno favorito al leader della Jumbo-Visma. All’ultimo ostacolo, che sulla carta per caratteristiche tecniche avrebbe dovuto avvantaggiare il leader in classifica, Roglič si è prodeotto in una prova mediocre (ma nemmeno è “deragliato” come ha detto qualcuno). I tempi non si possono discutere. Il fatto che Tadej Pogačar della Uae in una prova contro il tempo abbia messo in fila specialisti come Richie Porte e Tom Dumoulin a oltre 1 minuto in 30 chilometri di gara e rifilato quasi 2 minuti a Roglic fa pensare a “certe imprese” alla Floyd Landis (Tour 2006).
Per carità, non vogliamo mettere i soliti dubbi su uno sport già abbastanza martoriato dai sospetti di natura extra sportiva, ma ci permettiamo solo di sottolineare che le caratteristiche tecniche e fisiche dei corridori non sono nemmeno uno spot elettorale che varia a seconda del vento e delle giornate. Senza nulla togliere all’impresa del vincitore, i numeri della classifica finale della cronometro sembrano da ciclismo di altri tempi, quando i ribaltoni erano all’ordine del giorno semplicemente perché la tecnologia, i materiali e le tecniche di allenamento erano molto più diversificate e permettevano più margini all’iniziativa individuale.