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Ci sono fotografie che dicono molto più di tante parole. Una di queste venne scattata a Palermo da Letizia Battaglia il 6 gennaio 1980, quarant’anni fa, e ritrae le gambe di un uomo ferito a morte dentro la sua auto, e un altro uomo che gli regge il capo, nel disperato e vano tentativo di salvarlo. Il ferito a morte era l’allora Presidente della Sicilia, Piersanti Mattarella, 44 anni, ucciso sotto gli occhi della moglie e dei figli da due killer a volto scoperto, l’uomo che gli regge il capo è il fratello minore Sergio, l’attuale Presidente della Repubblica.

Serve ricordare, soprattutto all’attuale classe politica, che Piersanti Mattarella, figlio politico prediletto di Aldo Moro, cercò il dialogo con tutte le forze politiche, anche avversarie e nella fattispecie il PCI (Partito Comunista Italiano), per portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale, e recidere i legami della politica con la criminalità organizzata, la mafia. Contrastò nei fatti, e non solo a parole, la malapolitica e il malaffare del suo partito (la DC), in Sicilia rappresentata dall’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino e dal deputato Salvo Lima, quelli del “sacco di Palermo“, andreottiani legati ai corleonesi di Totò Riina e Provenzano. Lui e Moro pagarono con la vita questa volontà.

Che in tanti, dentro e fuori l’Italia, dentro e fuori la DC, fossero contrari ad ogni accordo col PCI, era noto già allora. A tal proposito, anche le date parlano chiaro: P. Mattarella venne eletto Presidente della Regione Sicilia il 9 gennaio 1978 con i voti del PCI, anticipando l’esperimento del compromesso storico che Moro stava cercando di realizzare a livello nazionale: due mesi dopo, il 16 marzo del 1978, ci fu la strage di via Fani con il rapimento di Moro, e quindi la sua uccisione. L’anno successivo verranno uccisi, tra gli altri, anche il giornalista Mario Francese, Michele Reina, segretario della DC palermitana, il vice questore Boris Giuliano, il giudice Cesare Terranova, e a Roma anche Mino Pecorelli, un giornalista d’inchiesta che aveva fatto scoperte scottanti circa depistaggi e omissioni durante la prigionia di Moro, e i legami di Andreotti con ambienti mafiosi. Il 30 aprile 1982 verrà ucciso anche Pio La Torre, deputato e segretario regionale del PCI siciliano, anche lui impegnato nella lotta alla mafia. E poi tanti altri morti ammazzati, tutta gente impegnata a difendere lo Stato da attacchi interni e esterni.

Le indagini condotte da Falcone sull’omicidio di P. Mattarella portarono ai terroristi neri dei N.A.R. (Nuclei Armati Rivoluzionari), nelle persone di Gilberto Cavallini e Giusva Fioravanti (riconosciuto dalla moglie di P. Mattarella ed accusato dal fratello Cristiano Fioravanti, ma le loro testimonianze furono ritenute poco credibili…), ma nel 1988 il pool di cui faceva parte Falcone venne smantellato, e Falcone saltò in aria a Capaci il 23 maggio del 1992, per la soddisfazione di Totò Riina “u curtu” che poté dire di aver dato una scossa al Paese.

Falcone sospettava che non solo la mafia, ma anche lo Stato si fosse servito, ancora una volta, della manovalanza neofascista, per eliminare un “pericolo” come P. Mattarella, come successe, ad esempio, nelle stragi di Piazza Fontana, Peteano, Brescia, dell’Italicus, di Bologna, e come anche per il golpe Borghese e la vicenda Sindona, il bancarottiere legato alla cupola mafiosa. Dopo l’omicidio di Falcone si abbandonò la pista neofascista, e per il delitto Mattarella venne condannata, come mandante, la cupola mafiosa, mentre gli esecutori materiali rimangono ancora ignoti. “Una confortevole ipotesi“, per dirla alla Sciascia. Nuove recenti indagini e indizi (la targa dell’auto dei killer e la Colt Cobra 38 Special, la stessa con cui i neofascisti hanno ucciso il giudice M. Amato), hanno riaperto scenari che proverebbero il coinvolgimento anche della pista neofascista, per cui l’omicidio Mattarella non avrebbe confini regionali, ma nazionali, come pensava Falcone: se così fosse, si potrebbe riscrivere la storia del Paese.

Insomma una brutta storia, l’ennesima, “una storia sbagliata” che appartiene a pieno titolo a quel “romanzo delle stragi” che ha caratterizzato l’Italia di quegli anni e oltre, fatta di collusioni tra Stato, mafia, terrorismo, P2 e delinquenza comune, un “romanzo criminale” che in tanti non conoscono o non vogliono ricordare, e che invece andrebbe studiato a scuola per capire chi siamo e il valore di ciò che abbiamo. Come già scrisse Sciascia anni prima (1971), “si trattava di difendere lo Stato contro coloro che lo rappresentavano, lo detenevano. Lo stato detenuto. E bisognava liberarlo“.

L’omicidio di P. Mattarella, oltre ad essere uno dei tanti buchi neri della nostra storia recente, ha indotto il fratello Sergio a raccoglierne l’eredità, per continuarne l’impegno civile e politico. Non tocca a me giudicarlo politicamente, né mi interessa farlo, ma è innegabile che nell’odierno panorama politico e culturale rappresenti un’anomalia: in un mondo politico che è orgogliosa vetrina del nostro gap culturale, dozzinale avanspettacolo dominato da superuomini in miniatura eccitati ed infatuati dai loro selfi e videomessaggi ad uso e consumo di un’insolente maggioranza di eterodiretti sempre pronti ad insultare chi la pensa diversamente: in una politica che ha divorziato dalla cultura, dalla competenza e dal rispetto dell’altro per sposare la sgrammaticatura linguistica, culturale ed etica, il Presidente si pone con un profilo apparentemente basso, ma in realtà di grande spessore, grande dignità e compostezza, come nella foto in bianco e nero di 40 anni fa.

Le sue spalle strette fanno da contraltare alle larghe vedute e alla profonda conoscenza, da cui traspare, oltre allo studio, l’abitudine al mettersi in dubbio e a confrontarsi con le lacerazioni dell’esistenza. In un mondo come questo, per me è già tanta roba: prima di fare politica, bisogna apprendere l’educazione, vorrei se ne ricordassero i tanti politici che conoscono solo una faziosa povertà di pensiero, e confondono i servitori dello Stato con i servi del governo. Come ai bambini, bisogna riprendere ad insegnare loro che parole violente generano atti violenti, che la democrazia non si misura solo con il consenso, ma soprattutto da come tratta il dissenso. Cari politici, studiate ed imparate l’educazione, poi potrete andare in tv a chiederla ai cittadini.

Piersanti Mattarella riposa nel cimitero di Castellammare del Golfo, sua città natale. Sull’estremo marmo sta scritto: “Un simbolo per quanti si ostinano a operare e credere“. Son passati 40 anni, sembrano 400. Auguri, Italia.

Proprio in questi giorni la Procura di Palermo ha individuato nel mafioso Antonio Madonia il killer di P. Mattarella, e in Giuseppe Lucchese il complice alla guida della Fiat 127: i due sono già in carcere da anni per parecchi omicidi, tra cui il Gen. Dalla Chiesa. Restano ancora da decifrare i legami tra le forze eversive nemiche della democrazia e i numerosi depistaggi che le hanno coperte, e che culminarono con la strage di Bologna del 2 agosto 1980: terrorismo rosso, stragismo nero, mafia, massoneria, servizi segreti deviati, politici collusi, sono parte importante della nostra storia. Libertà e democrazia, basate sulla Costituzione, non sono per sempre, vanno difese e conquistate ogni giorno.