E’ come dire Città Alta. Ci arriviamo dal porto, alle spalle del Castello Svevo che ci sorveglia arcigno. La luna sbarazzina occhieggia sopra le sue mura. “Ci prendiamo un panino da ’u Russ, il Rosso”, suggerisce il compagno di mia nipote, “pane di semola con salsiccia, pomodorini e una foglia d’insalata”. Ad un tavolino si siede, una volta servito, un atletico giovane che appoggia lo zaino ben carico e il nodoso bastone del pellegrino che segue antichi percorsi. Appartata, la Chiesa di Santa Chiara un tempo sede degli Ordini cavallereschi.
I bambini giocano. Le bambine, attorno all’altalena, la arrotolano e fanno girare come una trottola; i ragazzi si rincorrono o in bicicletta fanno slalom tra passanti e pilastrini. Le mamme, sedute su una lunga panchina, chiacchierano, a turno si alzano e richiamano. ”Pensa al malcapitato che ci doveva cercare per tutta Bari Vecchia quando si giocava a nascondino!”.
Davanti alla Chiesa di San Crisostomo, c’è scritto Chiesa cattolica di rito bizantino. “E’ bello vedere nella festa di San Nicola cattolici e ortodossi, gli uni accanto agli altri che pregano a proprio modo, prostrati o inginocchiati, a fare il segno della croce con le tre dita unite o con la mano aperta, a genuflettere e mandare baci”.
Per strada a Bari Vecchia c’è gente a tavola, donne a servire la pasta nello spazio delimitato da piante di gelsomino o edera, tra le campanelle della dipladenia o le erbe profumate. Nelle vicinanze del Convento di Santa Scolastica, oggi Museo Archeologico, rivedo la minuta signora sulla seggiola che mi parlava di soldati o profughi qui raccolti durante la Seconda Guerra. ”Ci sono anziani che vivono ai piani alti e da quelle ripide scale non scendono più”. Ragazzine a gruppetti si spostano tra vicoli in concitate confidenze e pronte a girarsi al passaggio di qualche ragazzotto in motocicletta o sul monopattino elettrico.
A San Nicola incontriamo i turisti, prestanti ragazze bionde, di carnagione chiara, faccia lentigginosa, il cappello tipo Panama, oppure coppie con un fare non più altezzoso dei loro antenati normanni. “Non vedo asiatici quest’estate”.
Infatti qui sul Barro hanno trovato un insediamento gotico, a cavallo tra l’epoca romana e quella longobarda. Sembra che i Goti venissero dalla
Dalla Muraglia vediamo sul lungomare gente seduta a godere meglio la frescura del mare. Incontriamo gli altri baresi della Città murattiana, dell’estramurale, dei quartieri periferici, coppie, famiglie, single, torme di giovani, il popolo della notte che qui viene a far festa. Li troviamo in paziente attesa per un gelato, le focaccine, i panzerotti, i maritozzi, le frittole, le sfoglie, i panini ripieni, la granita. L’acqua riverbera il luccichio del lungomare, benemerita opera completata in età fascista, da Punta Perotti al Teatro Margherita.
In piazza Mercantile poi Ferrarese è un succedersi di punti ristoro, pizzerie osterie locande, in ogni angolo, di giovani più vivi e rumorosi alla fine del lockdown.
Rientriamo nella Città vecchia. Qualche motorone sfreccia, si chiudono le botteghe, gli ultimi avventori al muro con la birra in mano o l’ennesima sigaretta. Le edicole sacre hanno sempre un lumino acceso. Bari Vecchia, per fortuna, resta una città viva.
Ormai è chiusa la Cattedrale dedicata a S. Sabino, chiusa è la seminascosta Chiesa della Trinità delle Benedettine dove avevo ammirato il pavimento in maiolica con decorazioni floreali.
Sul muretto del fossato del Castello si può sostare, appartati, protetti dall’ombra degli alberi, e continuare la lettura del romanzo, con l’ausilio del tablet. Il lettore è il fratello della mia guida, inaspettato e felice incontro. E’ alle prese con L’uccello che girava le viti del mondo dello scrittore giapponese Haruki Murakami. Sul muretto è stato dimenticato il cellulare. “C’era fino a poco fa una coppia”. Basta una chiamata, perché anche a Bari c’è della brava gente che attende pazientemente il ritorno dei distratti innamorati.
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