A Leno i Longobardi avevano il loro monastero. Era stato fondato dai monaci di Monte Cassino. Qui Desiderio, l’ultimo re longobardo, avrebbe voluto essere sepolto.
Parlando di monastero mi hanno indicato la Villa e mi sono trovato davanti ad un ampio prato. I cartelli lungo il viale hanno subito chiarito. In seguito agli scavi sono rimaste tracce, una sagoma di tomba, un abbozzo di muro, un tratto di fossato, le pietre del monastero usate per la Chiesa Parrocchiale e i due leoni del portale.
Nell’Alto Medioevo era stato un grande monastero. Prima i Longobardi poi gli imperatori del Sacro Romano Impero ne avevano fatto un caposaldo religioso e politico. Dal Monastero dipendevano uomini e territori. Più tardi si fecero sentire le città e i Vescovi che le governavano. I monasteri entrarono quindi nel gioco di interessi e di poteri che non erano negli intendimenti del fondatore, San Benedetto. Feudatari e famiglie potenti vi allungarono le mani. Nello scontro tra Papa e Imperatore, si verificò un primo cambiamento, un certo rinnovamento. La riforma venne da Cluny e i Benedettini si fecero Cistercensi, Certosini, Cluniacensi, Vallombrosiani. Tornarono agli ideali evangelici di povertà, castità, preghiera, e di obbedienza, obbedienza al Papa e non ai signori locali o ai Vescovi-Conte. Nel mondo ma fuori dal mondo, pellegrini con gli occhi rivolti al cielo. I monasteri di San Paolo d’Argon, di Astino, di Pontida, di Abbazia sorgono nello spirito di riforma in questa seconda fase. Questo di Leno fa parte dei monasteri di prima generazione, sotto la guida di Cassino o dei grandi monasteri del Nord.
E’ rimasta la Villa Badia, costruita con l’avvento dell’era napoleonica, oggi di proprietà comunale.
Si racconta ai bambini del sogno di Desiderio, l’ultimo re longobardo. Addormentatosi presso il fiume Leno, sognò che un serpente si attorcigliasse su di lui. Al risveglio, ancora scosso, disse del sogno al servo il quale confermò che realmente un serpente l’aveva avvolto ma che poi era tornato sottoterra donde era venuto. Ma subito lo rassicurò: il serpente non era segno di morte ma augurio di buon auspicio, e l’evento felice poteva essere l’incoronazione. Di fatto poi amarezze gli riservarono la vita. Nello scontro con i Franchi dovette soccombere. Fu esiliato in Francia, dove, si disse, morì in un monastero.
Gli scavi a Leno hanno rivelato invece un’altra possibilità. Desiderio sarebbe stato portato qui dopo la morte avvenuta nel 774 d.C. a Pavia, durante l’assedio dei Franchi. Dove sarebbe stato sepolto oggi c’è un roseto. La sua vicenda è stata ripresa dal Manzoni nella tragedia Adelchi che nelle prime battute presenta un Desiderio nelle vesti di padre premuroso per le sorti della figlia Ermengarda, andata sposa al “disleal” Carlo e “che il fedel scudiero l’assista, braccia aperte ad aspettarla stanno”.
La signora che mi ha delucidato la vicenda mi invita a dare un’occhiata alla mostra di pittura di validi autori contemporanei. Uno degli autori la spiega; in pillole, si può dire, la storia della pittura del Novecento. C’è chi segue il Dadaismo, figura e paesaggi scompaiono sostituiti da quadratini, collage, pezzi di giornale quasi a caso; chi evoca Cezanne, luminosità, colori brumosi, cielo azzurrino che tutto confonde; altri si muovono sulla linea di De Chirico, pittura metafisica, come un ritorno al classico, chi tiene conto del Futurismo, tratti forti, colori vorticosi, soggetti frantumati; e infine chi con l’acquarello rivendica il diritto di dipingere i fiori, come nella pittura giapponese, che danno la sensazione di equilibrio e di serenità.
“Si sentono a volte certi prezzi!”
“Si, li fanno i galleristi. Si tratta di entrare nel giro.”
“E’ arte?” “Chi lo sa. Piace? È già qualcosa”.
Scopo della mostra è sostenere associazioni pro Africa ed io mi porto a casa un calendario gigante; il problema sarà dove metterlo.
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