Mercoledì sera a Comenduno di Albino, nella sala convegni dell’Oratorio, è stata ricordata la figura di monsignor Lino Belotti, a un anno dalla morte, mettendo in evidenza, oltre al suo carisma, soprattutto l’impegno a servizio degli emigranti bergamaschi e, più in generale, di tutti i popoli migranti. Organizzato dall’Ufficio per la pastorale dei migranti della Diocesi di Bergamo, l’incontro ha preso spunto dalla preziosa testimonianza di Don Lino contenuta nel primo tomo dei due volumi “Preti tra i migranti”, pubblicati dal Centro Studi Valle Imagna nel 2013, dove il nostro protagonista racconta con umiltà – una caratteristica che lo ha sempre contraddistinto – la sua storia personale: dalla nascita in una semplice famiglia contadina della media Valle Seriana all’ingresso in Seminario, dal passaggio alla Comunità Missionaria del Paradiso fino all’ordinazione sacerdotale, avvenuta nel 1954.
Diventato prete, poi, dopo una prima esperienza missionaria a Comacchio e a Goro (nel ferrarese), nel 1966 approda in Svizzera (“trascinato” lassù da un altro grande protagonista di quella stagione, Don Antonio Locatelli), assieme con Don Sandro Dordi, e lì ha inizio la sua grande attività a servizio degli emigranti, che durerà poi tutta la vita: prima come direttore della MCI di La Chaux de Fonds (Don Dordi, invece, nello stesso periodo si era insediato a Le Locle), poi dal 1973 al 1982 quale coordinatore di tutti i missionari operanti in Svizzera nelle MCI. Mise poi a frutto la sua preziosa attività svolta sul campo, in Svizzera, dapprima quale Direttore della Fondazione Migrantes, infine da Presidente della Commissione Episcopale Italiana per le Migrazioni. Gli impegni “romani” hanno caratterizzato l’ultima fase della sua vita, che sono stati implementati dalla nomina dapprima a Vicario Generale (Bergamo, 1996), poi a Vescovo Ausiliare (1999).
Dovunque egli abbia prestato servizio, ha sempre saputo inserirsi nelle nuove realtà con rispetto, disponibilità e competenza, umiltà e ottime attitudini relazionali, svolgendo le funzioni che gli sono state attribuite – tanto in Svizzera quanto a Roma – come un servizio a favore degli emigranti, con i quali ha saputo costruire rapporti umani autentici e duraturi. La sua autorevolezza gli è stata unanimemente riconosciuta dal lavoro sul campo. Gli Italiani emigrati in Svizzera, colà ormai stabilmente residenti, che lo hanno conosciuto, nutrono ancora oggi nei suoi confronti sentimenti di profonda stima e grande ammirazione. Un simile atteggiamento, che si sprigiona dalla condivisione di una medesima esperienza, è stato vissuto pure da Don Lino, con reciprocità, se pensiamo che il nostro missionario ha sempre conservato e portato con sé un quadernetto sul quale aveva annotato, con ordine, i nomi degli emigranti italiani di Là Chaux de Fonds, divisi per regioni e paesi di origine e con l’indirizzo di residenza. Sono più di seimila persone. Don Lino le ha conosciute tutte, visitando le loro case all’estero e mettendosi immancabilmente a servizio. Dietro ciascuna di esse c’è stata una storia familiare unica, vissuta e sperimentata in condizioni assai particolari, in emigrazione, che Don Lino non poteva più dimenticare, perché è stata condivisa profondamente. Egli ha sempre portato con se, attraverso quel quadernetto, il pensiero, l’amore e il ricordo di ciascuna di quelle persone.
La sua manifesta dedizione alle questioni connesse alle migrazioni non è stata un’esperienza isolata, ma si è inserita, con protagonismo, nel prosieguo della politica sociale della Chiesa di Bergamo, che, dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, nel pieno fermento della stagione del Cattolicesimo sociale, ma anche oltre, ha espresso grandi attenzioni ai problemi della società, al mondo dei lavoratori, alle condizioni di vita delle persone e pure ai fenomeni migratori. Pensiamo anche solo all’Opera Bonomelli, al Segretariato per gli emigranti, ai preziosi interventi in questo campo di Don Agostino Vismara, di Don Fortunato Benzoni e di molti altri sacerdoti e laici impegnati nelle Missioni Cattoliche Italiane, nel contesto europeo, dalla prima alla seconda metà del secolo scorso. La parabola di vita di Don Lino Belotti si colloca, dunque, nella parte terminale di questo lungo itinerario storico-sociale della Chiesa di Bergamo a favore del popolo dei migranti e costituisce oggi un esempio formidabile di virtù e carità cristiane.