Biondi immobiliare

L’ultima volta ero stato alla Chiesa di San Martino. C’è un bel selciato con un binario di piastrelle. Man mano si sale appare il Lago di Oggiono. Una scalinata e un atrio con ex voto, tra cui una catena e manette per la grazia ricevuta di un prigioniero. La chiesa è più angusta di quel che il campanile lascerebbe indovinar, altari che appartengono a epoche diverse, ognuno rivendicante il ruolo di essere il principale, diversi affreschi di San Martino, in piedi con la testa pietosa e reclinata, oppure a cavallo in gesto perentorio a tagliare il mantello per il povero implorante.

Stavolta sono andato in cerca della Chiesa di San Tommaso, per Valmadrera dall’alto. “Si tratta di una frazione, mi ha detto una signora. Vede su quelle case? Sopra passa la strada prima a destra poi si sposta a sinistra. Bisogna poi  camminare”. Lei sta pulendo fuori da un portale, importante, con tanto di arco, due pilastri ornati da anfore di pietra, evidentemente l’ingresso di una villa padronale. “Era la casa dei signori Gavazzi. Tutto attorno era loro. Vede la costruzione che sporge? Era un tempo fabbrica tessile.” Lei, faccia rugosa, minuta ma voce decisa – a volte c’è da ripetere la domanda – un parlare franco, tra il dialetto e l’italiano.

Quando la salita s’impenna mi fermo e mi metto a parlare con uno che sta scendendo, passo tranquillo e bastone e zainetto. “Sono nato e cresciuto a Valmadrera, anzi proprio a San Tommaso, oltre la piega della montagna. Sì, un bel panorama. Ci abitavano diverse famiglie, costruzione a ferro di cavallo. Non è rimasto nessuno. Si campava, si mangiava di quel che la terra dava, granoturco, patate, ortaggi, frutta per non parlare del pollame e delle mucche. Il bosco non c’era, tutto coltivato e pulito. Erano contadini anche in paese, alcuni a far legna fino ai Piani dei Resinelli. Poi si è cominciato a lavorare a Lecco, fabbriche cresciute come funghi,  Badoni, Fiocchi, Sae, Caleotto. Io scendevo ogni mattina a lavorare nella carpenteria del paese.

Gli chiedo del contrabbando. Nel bergamasco si parla di spalloni, gente che portava di qua o di là la roba, dove meno si pagava o meglio si vendeva. Si sa, dove c’è dogana c’è contrabbando. Quando me ne hanno parlato mi sembrava strano per Valmadrera con la dogana lontana. “Mio papà ricordava un episodio. Avrà avuto 20 anni, lui era del ‘07. Vede quella roccia che spunta? È uno dei Corni di Canzo, uno dei tre. Passavano di lì, scendevano verso Canzo e finivano a Lezzeno sul lago, ramo di Como. D’accordo con altri che aspettavano e traghettavano in staffetta verso la Svizzera. Ultimamente si trattava di sigarette. Un giorno mio papà fu fermato sotto i Corni. C’erano guardie con tanto di fucile spianato. Gli han detto di andarsene, ma lui spinto dalla curiosità ha voluto controllare, di nascosto. Ne avevano fermato una ventina di questi che rischiavano per fame”.

Ho letto nelle cronache delle visite pastorali di San Carlo (1583) che il Cardinale all’omelia ammoniva i fedeli di Val magrera (povera?) o madrera di non “far esercitare la mercatura ai figli nei paesi eretici, fidando in maggior guadagno” cioè che con la roba ci poteva stare qualcos’altro, che allora era l’eresia e ai nostri giorni potrebbe essere droga.

Mi conferma sui Gavazzi. “Dove c’è la Casa Guanella era loro. Avevano fabbriche dislocate”. “Anche a Calolzio, certo!” quando gli racconto che mia mamma lavorava là dai sciur Gavazz, ed era contenta. Faceva “i nipiol”, i raggi delle biciclette, lavorando fino al parto del primogenito. 

La parrocchia, dedicata a Sant’Antonio, santo per eccellenza del mondo contadino, fu a lungo aggregata alla Pieve di Garlate. La chiesa attuale ebbe un certo travaglio nel suo rifacimento di fine Settecento. Alla fine fu completata dall’architetto lecchese Giuseppe Bovara la cui famiglia era originaria di Valmadrera. Ai lati dell’altar maggiore due grandi affreschi di Raffaele Casnedi, pittore di Luino e professore di disegno a Brera, così indicati: Mosè e la legge e Lasciate che i pargoli vengano a me. Quest’ultimo ha il suo autoritratto nelle vesti di Pietro che allontana i bambini e il ritratto della signora Luigia Verza Gavazzi, illuminata benefattrice dell’asilo.

Quando me ne sono andato ho imboccato la via del Rio Torto credendo di raggiungere Malgrate. E’ un torrentello che nasce dal Lago di Annone e sbocca davanti a Lecco, con il muro in ordine, solido, l’alveo pulito. Un’ordinanza del Ducato di Milano ammoniva di “togliere l’origine principale del violento rigonfiamento dei torrenti” minacciando pesanti sanzioni. Ma se si alza lo sguardo alla montagna, verde sì ma anche in abbandono, i boschi non più tagliati, spariti i terrazzamenti e i muri a secco, le case rurali un tempo provviste di cisterne ora trasformate in chalet per qualche fine settimana, le mulattiere ormai cementificate, si può indovinare, senza tirare in ballo il cambiamento climatico, i futuri disastri.


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