Chiacchieriamo a Volterra con un volterrano di generazioni. “Qui sono nato e ho ben vissuto. Noi si era i più ricchi d’Italia. Lavoro c’era, e per tutti, chi era impiegato nel manicomio – ora abbandonato – e chi lavorava l’alabastro, ciascuno con un pezzo di campo. Poi molti sono andati a Cecina e si sono messi nel turismo”.
Al visitatore che arriva Volterra appare quietamente “distesa sulla rupe” come dice D’Annunzio in un sonetto. “Nei giorni limpidi si vede l’Elba, Caprera e la Corsica”. Il mare fece la carriera di Jacopo dell’illustre famiglia Inghirami, ammiraglio del Granduca di Toscana. Si distinse nella lotta contro i turchi. “Noi si è vissuto anche l’ultima Guerra. Un aereo inglese ha lasciato cadere una bomba sulla caserma a lato di questa piazza dove ci troviamo Piazza dei Martiri della libertà, ora sito archeologico”.
“Andate a vedere la Porta dell’Arco!” la porta etrusca sopravvissuta a popoli e guerre. Gli Etruschi dominarono la Toscana per più di cinquecento anni, fino all’avvento dei Romani. Sotto questa porta si svolse l’ultima battaglia per l’autonomia della città quando fu presa dal centurione Cornelio Scipione, trecento anni prima di Cristo.
“Il cupolone che si vede è del Battistero e la torre a due piani fa parte del Palazzo dei Priori” “Con quelle merlature assomiglia a quello di Firenze” gli diciamo. “In verità il nostro era prima”. Entrando nella piazza per l’ennesima volta ci si convince che le nostre piazze non saranno funzionali ma sono belle. E i turisti tedeschi la godono.
Girato l’angolo ci si trova in Piazza San Giovanni, la piazza della Cattedrale. Il gusto coloristico della facciata si ripete all’interno, nel soffitto ligneo, nel pulpito con l’Ultima cena scolpita su colonne verdi e rosse, nei gruppi in terracotta come il Presepio, nell’emozionante Deposizione del ‘200, negli angeli dorati dell’altare maggiore, nella solenne Madonna della Barbialla attribuita a Jacopo della Quercia. Scultori, pittori, artigiani, scuole d’arte, maestranze non mancarono a Volterra.
“Mia figlia serviva in un negozio di opere d’alabastro. L’alabastro impiegava centinaia di persone ma i giovani cercano altro. L’arte dell’ornamento e delle sculture richiede anni di apprendistato. Allora si lavorava per gli Stati Uniti e per il Giappone. Oggi siamo stati sostituiti dalla Cina e dal Sud America. Per fortuna arrivano i turisti!”
Ci suggerisce il ristorante: “Fatevi servire cinghiale con funghi e polenta o la ribollita”. Dalle mura di Volterra si guarda la campagna che degrada tra rilievi tondeggianti colorati dal verde dei lecci, cipressi o pini marittimi, e dal giallo delle messi mietute.
Una volta pranzato continuiamo il giro e passiamo per gli scavi romani, alle spalle della città medievale. Hanno rinvenuto il teatro romano di magnifica bellezza, posizionato a nord, dove l’ombra dava sollievo agli spettatori nelle calure estive. Possiamo pensare il poeta satirico Persio, che qui nacque, assistere alle commedie di Plauto e di Terenzio che tanto divertivano i romani. Prese spunto per satireggiare le manie dei contemporanei senza risparmiare i potenti, compreso l’imperatore Nerone.
“Abbiamo visto venendo il torrione e la grande fortezza all’altra estremità”. “Si, è il carcere, ma quello è sempre stato una cosa a sé”. Costruita dai Medici nel Cinquecento, fino a poco fa era uno dei carceri di massima sicurezza. Provò la sua durezza tra gli altri il politico risorgimentale Domenico Guerrazzi che ebbe il tempo di scrivere la storia dell’unica donna rinchiusa prima di lui, la nobile Caterina Picchena, dalla vita troppo irrequieta per i tempi.
Altri volterrani illustri furono due Papi: l’immediato successore di Pietro, San Lino martire, e Leone Magno, il papa che fermò Attila.
Se volete vedere Volterra degli anni ’60 procuratevi il film di Luchino Visconti Vaghe stelle dell’orsa dove la protagonista (Claudia Cardinale) torna nella città natale per donare al Comune un parco intitolato al padre, scienziato ebreo, morto in un campo di concentramento.
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