Una volta arrivati alla torretta del faro, sulla terrazza, si abbraccia la vecchia Piombino, dal Castello a sud a Palazzo Appiani a nord e in mezzo il nucleo della città medievale, la Torre e il Palazzo dei Priori con la porta d’uscita al mare. Vicino è la Cattedrale di Sant’Antimo, un martire dei primi secoli del Cristianesimo che, secondo la leggenda, fu prima legato ad una pietra poi scaraventato nel Tevere. Miracolosamente sciolto dall’angelo, solo la scure pose termine alla sua vita terrena.
La terrazza, intitolata al pugliese e politico risorgimentale Giovanni Bovio, poggia su un grande scoglio allungato sul mare. Oggi è uno splendido sabato ed una fortuna per noi trovare una città così libera. Davanti si protende l’Isola d’Elba e si muovono i traghetti a fare la spola. Sono seduti al tiepido sole un uomo e una donna assorti in lettura, ognuno con il suo libro, da cui mi allontano rispettosamente.
L’intenzione è salire al Palazzo degli Appiani, Signori della città fino all’avvento dei Francesi di Napoleone che per la sorella Elisa costituì il Ducato di Lucca e Piombino. La Restaurazione poi guidata da Metternich ridisegnò la nuova Europa sull’equilibrio di grandi stati e Piombino passò al Granducato di Toscana. Fino al Regno d’Italia del 1860.
Il palazzo è sede del Museo Archeologico che si occupa, con una sezione speciale e ben curata, delle origini etrusche del territorio di Piombino che comprende Populonia e il Golfo di Baratti. Il porto di Populonia fu importante crocevia di traffici del Mar Tirreno già tremila anni fa. Qui arrivava il ferro dall’isola d’Elba e il centro contò diverse migliaia di abitanti. Alcune famiglie se ne avvantaggiarono. Lo si capisce dalle tombe rinvenute, alcune delle quali sono mausolei a cupola circolare che possono avere un diametro di 20 metri, altre a edicola. Molte furono arredate e decorate all’interno. I ritrovamenti di suppellettili e vasellame ad uso domestico sono stati recuperati più nei dintorni perché i trafugamenti dei tombaroli si sono susseguiti nei secoli.
Vicina è la Chiesa della Misericordia dove stazionano le giallo-azzurro ambulanze di pronto intervento della Confraternita di Misericordia. Noi siamo abituati alla Croce Rossa, in Toscana come in altre parti d’Italia, sono rimaste le gloriose Confraternite della Misericordia. Nacquero nel Medioevo sotto la spinta dei cittadini che volendo partecipare alla vita sociale iniziarono ad occuparsi di bisognosi e ammalati.
Scendendo verso il centro si incrocia il Corso Vittorio Emanuele, la strada che parte dal Rivellino che è la fortezza e la porta d’ingresso alla città via terra. All’imponente sistema difensivo pare che avesse lavorato Leonardo. Nel Cinquecento fu rinforzato per adeguarlo alle necessità difensive imposte dall’uso delle artiglierie.
Noi arriviamo quando pizzerie e ristoranti sono ancora in dormiveglia. Dopo il chiasso e la ressa della vita notturna si incominciano ad aprire saracinesche o a muovere qualche tavolo accostato. I bar invece sono affollati per i tranquilli avventori della colazione a brioche e cappuccino nel brusio allegro delle conversazioni e dei saluti mattinieri. Proseguiamo fino al Castello costruito dai pisani, imponente e cupo, fortezza diventata carcere e ora Museo delle ceramiche. Tanti sono stati i ritrovamenti di piatti e utensili della cucina risalenti al XIII secolo, frutto di una scuola d’arte che si perfezionò con il tempo.
I gabbiani continuano l’andirivieni quotidiano. Prendono posizione su qualche balaustra, volteggiano, si incrociano, si aggregano e staccano, planano mandando stridii che sono richiami o avvertimenti.
Uscendo dalla città intravvedo la Piombino della ghisa e dell’acciaio. Un tempo dire Piombino era dire fonderie, metalmeccanici, lotte sindacali. La Dalmine aveva qui, ed ha tuttora, uno stabilimento. Poi venne la crisi della siderurgia, esplosero i problemi di inquinamento. Si sono susseguite ristrutturazioni, cambi di proprietà, chiusure. Tutto sembra fermo. Niente comignoli fumiganti, carrelli o gru in movimento. Sembra un corpo sventrato di budella fuoruscite.
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