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Impreparati e non ancora pronti a un possibile ritorno del Covid-19 in autunno. Siamo a metà luglio. Settembre è dietro l’angolo e Ats e medici di base non si parlano”. Non certo le premesse ideali per evitare un secondo round virale. Poche battute del sindaco di Bergamo Giorgio Gori hanno gelato, pur nell’afa del cortile della biblioteca Caversazzi di via Tasso mercoledì sera, la platea intervenuta ad assistere alla presentazione del libro del giornalista Massimo Tedeschi “Il Grande flagello. Covid-19 a Bergamo e Brescia”.

Con loro il sindaco di Brescia Emilio Del Bono e Ferdinando Luca Lorini, Direttore del Dipartimento di emergenza Urgenza e Area Critica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. A moderare la serata un giornalista della stampa locale. Impreparati come una coppia che decide di partire da Canazei per Santa Maria di Leuca in Puglia al volante di una cabriolet col tettuccio che non si alza più, con la speranza che non piova. Forse può andare di lusso, una volta, due volte, ma poi alla fine, visto che la pioggia è fattuale, il groppo che inonda l’abitacolo arriva.

Lo stesso è stato per il Covid-19 a Bergamo e a Brescia, cuore produttivo della Lombardia, un territorio con un export internazionale che supera quello di molti stati sovrani europei, con 48 milioni di passeggeri che in un anno fanno scalo a Orio al Serio, Linate e Malpensa. Parrebbe una terra invincibile, gongolante di primati, immunizzata alla sfiga e invece il virus “made in China” ha svelato le nostre vulnerabilità. Ha tolto le scarpe griffate al gigante scoprendo piedini di argilla.

E non è che siano mancate le avvisaglie del pericolo – spiega Tedeschi  – .Il piano pandemico per affrontare 10 anni fa l’influenza H1N2 è stato un fallimento. E non lo dice un giornalista a caccia di scoop. Il tutto è contenuto dentro una delibera regionale firmata dall’allora governatore Roberto Formigoni. Senza parlare dello sbilanciamento della sanità territoriale con Bergamo e Brescia agli ultimi posti nella classifica del rapporto tra medici di base e territorio”.

Come a dire, con la supponenza di chi sta bene, che i virus (Sars, Ebola, Mers) sono piccoli scrosci quando nel cielo di Lombardia c’è ancora il sole. E invece il Covid-19 ha cambiato la nostra etichetta di highlander. “Il primo paziente con i sintomi Covid – ha ricordato Lorini – aveva 83 anni e muore in due giorni. Il secondo aveva 86 anni e muore in tre giorni. Per un team di professionisti non di primo pelo che lavora in un ospedale d’eccellenza perdere un malato dopo due giorni non è normale. Il fatto mi ha spaventato molto e ho deciso di lanciare l’allarme dove fosse possibile farlo anche con interviste sui media nazionali inglesi e americani. Il fatto di essere qui a raccontarla, allora, era solo un sogno come un sogno era che riprendesse il campionato di calcio così che tutti gli esperti che volevano dire la loro sul virus potessero occuparsi di schieramenti tattici in campo”.

I sindaci Gori e Del Bono, loro malgrado, si sono ritrovati in mezzo a reggere lo scollamento tra i cittadini e i livelli superiori. “Mi chiamavano – dice Del Bono – per chiedere la situazione di un loro caro ricoverato in ospedale. Siamo diventati padri di famiglia. Abbiamo elemosinato aiuto alle regioni e ci hanno risposto picche. Ho trovato posti di terapia intensiva in Germania grazie alla disponibilità del sindaco di Darmstadt”. “Mai da quando sono sindaco – ha concluso Gori – mi sono trovato ad essere in piena sintonia con la città. Nel cuore dell’emergenza facevamo 350 tamponi al giorno in una provincia che supera il milione. La lezione di febbraio e marzo non sarà stata recepita se non entriamo nell’ottica di test, tracciamenti, isolamenti, un sistema aperto per i tamponi e più medici. Altrimenti…”.

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