Alla base dell’etica di Tommaso c’è l’idea che l’agire segua l’essere “agere sequitur esse”. Esiste quindi uno stretto legame la natura di un ente ed il suo modo di agire. L’uomo, quale opera di Dio, non potrà fare a meno di operare in modo creaturale, e cioè di tendere al creatore. Infatti, il fine dell’uomo è la felicità che non può consistere in cose come la ricchezza, il potere e la fama, ma soltanto in Dio. L’etica di Tommaso, quindi, pone Dio come fine ultimo dell’agire umano.
Quanto alla libertà di agire, Tommaso afferma che l’uomo sia soggetto alla provvidenza. Ciò non significa, comunque, che l’uomo non goda di libertà alcuna. Dio stabilisce cosa sia necessario, e come esso avvenga, e cosa sia, invece, contingente e come esso avviene. L’azione libera dell’uomo fa parte del disegno divino. L’uomo può giungere alla beatitudine eterna, ma non da solo, ha bisogno della guida del Creatore.
Dio gode della prescienza, ossia della capacità di prevedere le azioni umane. Questo perché in Lui, che è eternità, il tempo è presente nella sua totalità di passato e futuro, per questo prevede le azioni umane. Egli le vede, ma non toglie agli uomini la loro libertà.
Il libero arbitrio di cui gode l’uomo è pieno e non limitato dall’aiuto della grazia e neppure dall’ordinamento finalistico del mondo: “Dio – dice Tommaso – muove tutte le cose nel modo che è più proprio di esse (…) Perciò muove l’uomo alla giustizia secondo la condizione propria della natura umana. L’uomo ha, per propria natura, il libero arbitrio. E in quanto ha libero arbitrio, il movimento verso la giustizia non è prodotto da Dio indipendentemente dal libero arbitrio: e Dio infonde il dono della grazia giustificante in modo da muovere, insieme con esso, il libero arbitrio ad accettare il dono della grazia”.
Il significato attribuito da Tommaso al libero arbitrio è collegato con il concetto del male. Secondo il filosofo, infatti, proprio la libertà di cui gode l’uomo è la causa di esso. Qui Tommaso si appoggia ad Agostino: il male non ha sostanza, è piuttosto mancanza di bene, mancanza di essere. E siccome il mondo conosce diversi gradi di essere e di bene, il male è una necessita dell’ordine del mondo. Perché a beni maggiori corrispondono mali minori, e a beni minori mali maggiori.
Il male è di due specie: pena e colpa. La pena è mancanza di forma o di una parte dell’integrità di una cosa, come, per esempio, la cecità è la mancanza della vista. La colpa è la deficienza di un’azione, che non è stata fatta o non è stata fatta in modo completo o bene. Tra i due il male maggiore è la colpa, che Dio cerca di eliminare o correggere con la pena. La colpa nasce sempre da un comportamento umano di colui che sceglie deliberatamente il male, di colui, quindi, che non agisce in modo conforme alla ragione e alla legge divina. Per Tommaso, l’uomo è naturalmente predisposto ad intendere i principi pratici dai quali dipendono tutte le azioni buone. È la sinderesi, che ci dirige verso il bene e ci distrae dal male. Compito della coscienza, presente in ognuno di noi, è quello di applicare i principi generali dell’azione ad un’azione in particolare.
Le potenze (o facoltà) naturali possono agire in un unico modo, non hanno scelta né libertà, per cui non ha senso dire che agiscano in modo giusto o sbagliato. Le potenze razionali, quindi quelle che fanno capo all’uomo, non sono determinate ad agire in un un solo modo, e pertanto possono fare le cose in modo giusto o fallire. Per cui solo l’uomo può agire secondo virtù, che si distinguono, secondo la distinzione aristotelica, tra virtù intellettuali e virtù morali. Di queste ultime le principali sono: giustizia, temperanza, prudenza e forza. Le virtù sono essenziali a garantire all’uomo la felicità, ma, a tal fine, esse non bastano, sono indispensabili anche le virtù teologiche, direttamente infuse da Dio nell’uomo, che sono: speranza, fede, carità.