Biondi immobiliare

Si trova da parcheggiare alla Caserma Capitano Carlo De Cristoforis, oggi sacrario dei caduti delle Guerre italiane. Lasciando la macchina lontano posso percorrere la città – Como più piccola e raccolta di Bergamo – incontrare chi ci abita. Chiedere la direzione è una scusa per qualche impressione in più.

Lo sguardo vaga alla ricerca di quel che già so. Cerco il lago ormai nascosto dalle case mentre la funicolare di Brunate, quella sì e sta scendendo. Sento bambini cantare oltre la siepe del parco, prove di fine scuola, e  due donne a scambiare pettegolezzi condominiali, il cliente del giornalaio a parlare di elezioni, e osservo il bimbo  che dalla carrozzella controlla il percorso, ora a destra ora a sinistra, per il passo veloce della mamma  in ritardo. Quando fermo una signora trovo disponibilità e calore. Anche per lei la giornata ha più sapore con qualche parola in più. “Bergamo? Certo! ho una sorella, bella Bergamo.

Passo davanti al setificio Mantero, fondato agli inizi del Novecento e il ricordo di una cravatta regalata: “Cos’è ‘sta roba?” avevo detto e qualcuno mi corresse: “guarda che è Mantero!”. MI fermo davanti alla casa di Alessandro Volta in cui lo scienziato morì nel 1827, che per la scienza aveva speso tanto.

Devo proseguire per la Pinacoteca (link ufficiale) dritto fino al mercato che si tiene in diversi giorni settimanali appena fuori le mura. E’ un evento, uno spizzico di allegria, voci che attutiscono il rumore del traffico stradale, uomini in uscita con la busta della frutta di giornata, donne che si aggirano con la borsa stretta come il cesto (cestin) di una volta, bambini trainati da nonne, vecchietti a braccetto della badante di colore, donne giovani disinvolte e dietro le madri col velo. Il mercato è un crogiuolo di gente che vende e che compra. Chi guarda, indica, rovista, il titolare con l’asta e la signora incerta. Cerco anch’io la cintura con poca convinzione visti i cassetti di casa strapieni, più un prendere tempo o frenare l’ansia di andare. Dove? Alla pinacoteca, ma dov’è? “Davanti alla Chiesa di San …?” Domnino? Dobbino? Me lo faccio ripetere e non capisco. Capirò là alla pinacoteca quando vedrò sul frontone della chiesa accanto “A San Donnino”. Le carceri di Como si chiamavano “San Donnino”, come a Milano “San Vittore” o a Bergamo Sant’Agata: “rinchiuso a Sant’Agata” si leggeva. Oggi il carcere è “casa circondariale” e si sa dov’è.

Sulla collina spunta la Torre Baradello, diverso teatro di morte: là si squartava o tagliavano teste, a San Donnino si fucilava. Con la Rivoluzione francese era cambiata la morte.

Entro nella città vecchia per Porta Vittoria dalla torre sentinella perché il pericolo veniva da Milano. Attraverso la Piazza San Fedele senza entrare nella pur splendida chiesa perché non si può fare tutto. Fuori stanno i bar, i tavolini affollati, clienti abituali, cani accucciati sotto le sedie, ragazzi in vacanza, impiegati in pausa caffè. Si vedono i turisti vaganti, , da poco sbarcati, volonterosi e vaganti.

La Pinacoteca di Palazzo Volpi è su quattro piani. Il primo mi riporta al tempo di Carlo Magno, tempi duri con le proprie bellezze. Sono raccolti reperti di chiese abbattute o sopravvissute, dalla Basilica di Sant’Abbondio in particolare, elementi decorativi squisiti, arabeschi in granito, bassorilievi o parti di balaustre, pietre riusate. Como aveva eccellenti maestranze. I Maestri comacini nacquero qui, capaci di costruire e abbellire in giro per l’Italia e fuori. Allora i confini erano meno confini, e il Vescovo di Como comandava nel Ticinese svizzero, a Locarno, Bellinzona, Lugano.

All’ultimo piano c’è la sezione dedicata al Novecento. Ci sono i futuristi, gli astrattisti, i razionalisti con cui prendo familiarità, Giuseppe Terragni, Antonio Sant’Elia, Manlio Rho.

A mangiare dove trovo i comensi, vicino alla Casa vescovile. Le signore accanto hanno l’aria di una famiglia allargata. Parlano di appuntamenti e ritrovi e l’eccedenza del pranzo sarà consumata la sera in casa di una di loro. Con loro parlo di razionalismo e architettura.  Terragni progettò la Casa del Fascio, oggi sede della Guardia di Finanza. “Appena al di là della ferrovia. Sarà difficile entrare. Almeno guardarla da fuori”.

Lo stile richiama alla purezza e alla semplicità. Dal razionalismo la pittura ha preso spunto se pensiamo alle figure geometriche o gioco di colori tra triangoli, cerchi e righe nei quadri. La materia scompare, resta la linea e la luce. E’ una pulizia di pensiero, un guardare alla sostanza. In controtendenza con l’oggi che si tende a tornare alla materia.

Il piacere del passeggio sul lungolago è accresciuto nella babele di lingue e di volti. Non la confusione o l’intralcio di Piazza del Duomo a Milano o di San Marco a Venezia. Est, ovest, sud, nord del mondo, nei ristoranti e fuori. Sulle panchine e in fila per salire sul traghetto, fanno selfie o gustano la tintarella, in mano coppe di gelato o ventagli, famiglie arabe, massicci tedeschi, americani con camicia quadrettata. Sono intonati i camerieri, non certo nati nei borghi tipici di Como, diciamo Borgovico o Coloniola. Appostati ai margini dei resort sono a caccia di clienti. Indovinano i clienti dalla faccia, dallo sguardo, dalla direzione.

Manca il Duomo? Gustiamoci intanto la bella insenatura.


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