La questione della ringhiera – tipo balconcino casa popolare anni Settanta – che è stata costruita “per abbattere le barriere architettoniche” sulla Porta San Giacomo di Bergamo ha risvolti interessanti. Da principio andrebbe notato l’ardimento del gesto urbanistico del comune di Bergamo, immagino a firma di un qualsiasi anonimo ufficio tecnico, come ce ne sono in tutte le città italiane. La progettazione dell’intervento, che sembra aggiungere barriere e non toglierle, è di una povertà estetica assoluta che rimanda alla povertà etica di chi ormai non concepisce la bellezza né dal punto di vista estetico né da quello etico, visto che la bellezza è innanzitutto un valore politico (poiché essa spinge all’imitazione positiva, ci induce all’imitazione delle sue forme e dei suoi modi, crea armonia e differenze e aggregazioni proprio dove l’universo spinge all’entropia e all’indifferenziazione).
Un tempo, anche le mura di una città, erte a sua difesa, erano belle, tanto che come nel caso di Bergamo sono perfino riconosciute dall’Unesco patrimonio dell’umanità (la qual cosa, a pensarci bene, non genera nessun plus, se non in termini di mera comunicazione, ma non in termini di conservazione e tutela). In passato lo stile accomunava le persone e le comunità, così anche gli edifici più semplici e i borghi più poveri venivano edificati godendo di questa comunanza; e guarda caso oggi essi ci appaiono belli perfino nell’economia delle case addossate una alle altre, le stradine piccole e ombrose, le case di campagna, le piccole edicole votive. Parentesi: tra l’altro con le regole burocratiche di oggi quasi nessun edificio antico potrebbe essere costruito, Positano e Camogli non esisterebbero, neppure la cupola del Brunelleschi sarebbe a norma, pur resistendo da secoli più delle orrende costruzioni in cemento armato del Dopoguerra, destinate inesorabilmente a crollare.
Torniamo però alla ringhiera. Se stupisce la progettazione minimal ringhieristica, stupisce ancor di più il parere positivo che sembra aver dato la Soprintendenza, nella persona del valente architetto Luca Rinaldi. Debbo dar ragione a Vittorio Sgarbi che, in generale, molti degli scempi del paesaggio e dei beni culturali sono stati compiuti pur sotto l’occhiuto sguardo delle Soprintendenze, in certi casi troppo rigide a bloccare qualsiasi intervento, in altri troppo lasche a lasciare deturpare il nostro paese (si veda il dilagare delle pale eoliche e in contesti di estrema bellezza). Credo sia una sorta di miopia strabica che sfocia nella presbiopia ad impedire il giusto sguardo sulle cose: una miopia di tipo ideologico, uno strabismo di tipo burocratico, infine una presbiopia di tipo geriatrico.
L’idea di sistemare il tutto, modificando leggermente il colore della malta, apponendo poi lo stemma del Comune, è infine la classica pezza peggio del buco. Forse sarebbe meglio ripristinare le antiche commissioni per il decoro che potrebbero validare gli interventi prima della realizzazione, ma sono conscio che parlare oggi di “decoro” è impossibile, sopraffatti da architetti che – in nome dell’ideologia della contemporaneità – progettano strutture orrende e disumane in cui ogni forma di abbellimento o di decoro è vista come un cedimento. In ogni caso, considerando che l’Occidente non ha più nulla da dire, il tramonto è acclarato, il sole all’imo più basso, la nostra civiltà crollerà sotto la pressione dei barbari e non serviranno certo ringhiere a fermare la marea.
I risvolti più politici forniscono però ulteriori spunti. Nei giorni scorsi con atto sublime e situazionista, un gruppo di goliardi ha addobbato la ringhiera come fosse davvero la ringhiera di un balcone, quale è in verità, con panni stesi e perfino uno stendino. Giusto per evidenziare ancor di più l’orrore metafisico dell’equivalenza mura=balconcino. L’assessore ai Lavori Pubblici, Marco Brembilla, stizzito per essere stato messo alla berlina ha commentato: «Chiunque abbia fatto questa pagliacciate è uno stupido. La satira ha un limite ed è stato superato». A parte che è difficile stabilire il limite della satira, noto che il gesto non ha assolutamente esiti vandalici e neppure così sferzanti in termini morali, se paragonato per esempio ai danneggiamenti della “cancel culture” (credo non troppo invisa all’assessore, considerando il sinistro colore della giunta a cui appartiene): i panni possono essere rimossi al volo mentre la ringhierà resterà a testimoniare il nostro decadimento.
Testo gentilmente concesso dal prof. Angelo Crespi, giornalista e scrittore
I panni si lavano in casa,ma stenderli,vanno stesi su di una ringhiera.
Altrimenti spiegassero il perché di un simile obrobio