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Il proverbio viene ripetuto per secoli: mi è amico Platone, ma di più la verità (filtèra alèzeia). La ripete Don Chisciotte a Sancho Panza. Sembra una frase di Aristotele quando si smarca dalla teoria delle idee del maestro Platone.

Così la intende Ammonio di Erma nella sua Vita Aristotelis. Secondo il commentatore bizantino la posizione di Aristotele è già chiara nell’Etica Nicomachea: Platone materializza il concetto nell’istanza socratica di domandare l’essenza delle cose (“che cos’è?”) e in tal modo non è nel vero.

Lo stesso Ammonio riporta la frase di Platone attribuita a Socrate riguardo a Omero: Omero va cacciato dalla città perché il modello che propone è diseducativo. Il suo eroe Achille è soggiogato dall’ira e Ulisse, che lui presenta saggio e temperante, è troppo portato dalla curiosità e alla sfrenata sperimentazione. Vuole tornare a Itaca, rimpiange la famiglia, Penelope e il figlio Telemaco ma intanto cede alle lusinghe di Circe e di Calipso. Inoltre Omero racconta degli Dei e di Zeus incallito seduttore e molestatore di fanciulle. Altro che modello di virtù! “Avevo un’ammirazione per Omero da bambino”, dice Socrate, “fu per me il primo maestro (pròtos didàscalos), mi spiace, ma io voglio onorare anzitutto la verità”.

Nel Fedone, a detta di Platone, Socrate in procinto di morire raccomanda ai discepoli di privilegiare la verità a costo di opporsi a lui, il loro maestro.

Si potrebbe pensare che la verità viene sempre dopo, dal maestro passa al discepolo, in una catena destinata a proseguire all’infinito, per un’incessante approssimazione alla verità. Non è così.

Né vale il contrario, la verità che si trova nel personaggio autorevole, in Socrate, Platone, Aristotele, e poi Seneca, Boezio, Agostino. Ma Agostino stesso lo smentisce: il richiamo all’autorità non può andare a scapito della verità. Gli si affianca Ruggero Bacone: l’autorevolezza sta in chi scopre meglio la verità. E Tommaso d’Aquino conferma che bisogna preoccuparsi più della verità che farsi scudo delle auctoritates e ricorda: amicus Socrates sed magis amica veritas.

L’amicizia è messa a confronto con la verità. Beda il Venerabile dice che è cosa santa onorare la verità, è vera et specialis amicitia e ribadisce il proverbio. Dell’amicizia Beda distingue tre aspetti: quella legata al piacere che è propria dei ragazzi, quella dell’utile che è quella del lavoro, e quella che ha di mira il bene, la più alta.

La scuola che nascerà con Socrate darà risalto or all’uno ora all’altro di questi aspetti d’amicizia ma Platone privilegia quello per il bene che include gli altri ed è già sottinteso all’affacciarsi delle prime amicizie.

Nella modernità si enfatizza la verità: i compagni di viaggio diventano nemici se impediscono la via alla verità. Newton lo dice a proposito degli aristotelici che negano la verità. Così il proverbio si ribalta: inimicus Plato sed magis inimica falsitas. La scienza si affermerà attraverso smentite e la ricerca della verità procederà per via di falsificazione (Popper).

Socrate, ormai condannato a bere la cicuta, è invitato da Critone a fuggire in nome dell’amicizia, essendo Critone e Socrate amici d’infanzia. Socrate rifiuta, vuol morire restando fedele alle leggi piuttosto che sopravvivere trasgredendole. E se la verità è brutta? Si può amare la cruda verità? Ancora Platone dice che bisogna cambiarla in bene. Non è tanto la verità che muove ma l’amore per il bene. E per Marsilio Ficino è l’amore che rende possibile la conoscenza della verità, trascrivendo a suo modo il proverbio filosofico: amica veritas sed magis amicus amor.

(Sintesi della lezione di Giuseppe Girgenti dal titolo Amicus Plato sed magis amica veritas. L’origine socratica di un proverbio filosofico nell’ambito di Noesis all’Auditorium Mascheroni del 15 novembre 2022)