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Pochi mesi fa Antonio Carminati, direttore del Centro Studi Valle Imagna ha aperto “per necessità” la sua pagina Facebook. Quali sono le motivazioni che l’hanno spinta a levare le ancore nel mare magnum dei social?
Dall’esigenza di rinvigorire la comunicazione della cooperativa agricola “Il Tesoro della bruna”, iniziando così a dialogare pubblicamente con realtà esterne e avviando di conseguenza, in modo alquanto imprevisto, una serie di riflessioni su argomenti e fatti concreti della quotidianità rurale, vissuta direttamente nella contemporaneità, ma pure estratta dalla memoria personale e familiare. Sono testi che rappresentano vari aspetti della ruralità, dall’allevamento dei suini all’uccisione del maiale, dalla gestione della concimaia alla tenuta della stalla, dalle espressioni del lavoro a quelle della festa, affrontando, più in generale, i costumi, le abitudini, le tradizioni e l’evoluzione della vita nel villaggio montano.

Riflessioni curate e documentate da interessanti corredi fotografici che gentilmente condivide – e la ringraziamo per la fiducia – con il nostro sito di informazione socialbg.it. Ha così sperimentato la potenza di internet?
Mi sono reso conto che la rete può raggiungere davvero migliaia di persone in pochi istanti e di costruire con ciascuna di esse una possibile relazione. E’ sorprendente la facilità di interloquire in modo così veloce con un numero imprevedibile di soggetti interessati a considerazioni sulle radici culturali, sociali ed economiche delle nostre montagne. Nei miei post cerco di raccontare la storia sociale della popolazione della Valle Imagna, ma più in generale delle Orobie, colta nel suo divenire. Non è un processo divulgativo fine a se stesso. E’ un sapere per cogliere appieno i sapori dei nostri prodotti. Chi assapora lo stracchino offerto dalla cooperativa “Il Tesoro della bruna” non solo sperimenta caratteriste organolettiche particolari, ma entra in contatto con un lavoro artigianale calato in un determinato contesto storico e geografico. Lo stracchino non è solo un buon cibo, ma è anche un risultato culturale della gente di un territorio.

L’industria e la grande distribuzione hanno smarrito la relazione tra prodotto e cultura oppure l’hanno svilita attraverso un marketing parolaio. Cosa ne pensa?
Possiamo percorrere due strade per giungere ad un prodotto: nella spersonalizzazione di un negozio qualsiasi, in forza quindi di una mera istanza alimentare ed economica, oppure attraverso un percorso di conoscenza dei valori umani e territoriali che esso rappresenta e dei quali è agente veicolatore. Questa seconda opzione consente di consolidare le relazioni con i clienti, fidelizzando i consumatori, i quali, a loro volta, diventano essi stessi nuovi soggetti consegnatari, anzi fiduciari dei medesimi beni locali. È il migliore investimento, a lunga durata, che la piccola cooperativa di montagna possa fare.

Le sue riflessioni sono anche un antidoto alla tendenza contemporanea all’oblio e allo sgretolarsi del valore della memoria. Lei Carminati appartiene a una generazione che, seppur proiettata nelle dinamiche moderne dell’urbanizzazione, della scolarizzazione, dell’industrializzazione, ha fatto a tempo a vivere, nell’infanzia, il mondo antico delle grandi famiglie e delle attività rurali che si svolgevano nella contrada, attorno alla stalla, nel prato e nel bosco, nel campo e nel pascolo.
Il sistema zoo-caseario delle Orobie, consolidatosi nei secoli e dalle profonde radici, è andato in crisi nella seconda metà del secolo scorso, con il crollo del mondo contadino, quando improvvisamente sono state messe da parte antiche pratiche agricole e sociali e l’uomo ha, per così dire, “preso le distanze” dal territorio, abbandonando gran parte delle aree rurali. Cruciali sono stati gli anni dal 1950 al 1970. Appartengo a una generazione di mezzo, dentro in un passaggio epocale e terminale, con i nostri padri ancorati al passato, mentre i figli risultano ormai proiettati nel futuro. Ho vissuto a Canito, la mia antica contrada, sino all’età scolare, nella grande famiglia del nonno, con gli zii e le zie, poiché la mamma, a seguito del matrimonio (1960) l’ìa ‘ndàcia a stà en cà dol missìr. Questa era la regola. E il distacco dalla grande famiglia dei nonni paterni non è stato facile. La percezione di questa particolare dimensione diventa stimolo e responsabilità per cercare di far luce su relazioni, valori, attività, … che troppo in fretta sono stati accantonati. Una generazione che, in un certo senso, sente la responsabilità di documentare il cambiamento e dichiarare ciò che è avvenuto negli ultimi sessant’anni, per costruire ponti di memoria tra ciò che è e ciò che è stato fino a ieri.

Ritornando a iniziative che seguono canali più tradizionali cosa bolle in pentola?Lunedì 21 gennaio 2019 nelle sede di Santa Verdiana del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, si terrà un importante incontro preparatorio degli Stati Generali della Montagna 2019, promosso da associazioni, centri studi, studiosi e singoli ricercatori, anche operatori sociali ed economici, i quali, dal basso, ossia nella quotidianità, vivono, praticano e studiano la montanità alpina e appenninica. In discussione sono gli obiettivi e i contenuti di uno o più convegni nazionali da organizzare sull’argomento. L’iniziativa è scaturita nel corso della rassegna culturale transalpina denominata “Incontri Tra/montani”, tenutasi in Valle Imagna il mese di settembre 2017 sul tema “Riabitare le Alpi”, che aveva registrato i preziosi interventi, tra gli altri, anche dei professori Alberto Magnaghi e Annibale Salsa. L’incontro di Firenze è organizzato dalla Società dei Territorialisti ed è coordinato proprio dal professor Alberto Magnaghi.


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