L’aumento del gas ha raggiunto il picco di 339 euro al megawattora e chiaramente lo spauracchio della prossima stagione fredda sta iniziando ad essere percepito nella mente di tutti noi.
Da giorni notiamo come le lamentele di artigiani e imprenditori riempiono le pagine dei giornali evidenziando costi triplicati che non saprebbero come gestire con l’arrivo dell’inverno. Vi è però un’analisi da fare: se la filiera dell’agro-alimentare ha ragione di lamentarsi in quanto l’incidenza del gas è fattore principale per la produzione, c’è anche una gran parte di imprese per cui l’incidenza di tali costi ha meno impatto sui margini di uscita del prodotto finito; se un’impresa usa il gas per uso esclusivo di riscaldamento avrà si rincari alti ma così come li avrà la concorrenza. Ergo: tutti dovranno ritoccare i prezzi che chiaramente causeranno inflazione, ma anche crescita economica.
In secondo luogo c’è la ragionevole speranza che una ditta avviata da più anni abbia accantonato utili di una certa importanza, (basta vedere i dati post Covid sulla crescita economica), dunque c’è da credere che come in tutte le famiglie (che sono imprese pure quelle) ci siano anni con disponibilità economica maggiore e altri con meno.
Ma quello che notiamo è una vero e proprio isterismo collettivo che per prima cosa non porta da nessuna parte visto che l’energia noi non ce l’abbiamo e comunque ci tocca comprarla da altri.
Se provassimo invece a ragionare a mente fredda forse potremo verificare che si ci saranno ditte da aiutare e rischiano il default ma anche altre situazioni dove semplicemente si faranno meno profitti; e sta alla politica notare queste differenze e intervenire di conseguenza.
L’urlare e sbraitare in maniera generalizzata esibendo le bollette senza però entrare nel merito dei bilanci annuali e dei margini di profitto con una decorrenza sul lungo periodo è il classico lamento all’italiana che spesso porta a premiare i furbi e non i bisognosi.