Assieme ad Avicenna, Averroè è considerato il più influente filosofo musulmano nel Medioevo. È stato un grande filosofo, un medico, un matematico, un giudice e un giurisperito. Scrisse oltre cento opere, tra i quali numerosi commenti di Aristotele. Nacque da una famiglia di giudici e continuando la tradizione di famiglia servì più mandati come giudice a Siviglia e a Cordoba. Fu anche nominato medico di corte e giudice supremo di Cordoba.
Prestò servizio presso il califfo Abu Yaqub Yusuf che restò impressionato per la sua saggezza e cultura. Rimase presso il re fino a quando non cadde in disgrazia. Venne accusato per motivi politici e fu esiliato nella vicina Lucena. Riuscì a tornare nelle grazie del re poco prima di morire.
Oppositore delle tendenze neoplatoniche di alcuni filosofi medievali (tra i quali Avicenna) tentò di portare in Auge gli originali insegnamenti di Platone. Fu un sostenitore del dialogo tra fede e ragione, per questo, per evitare ogni possibile contrasto tra le due, i testi sacri avrebbero dovuto essere interpretati allegoricamente. In capo medico elaborò una nuova teoria dell’ictus, descrisse i sintomi del morbo di Parkinson e pare sia stato il primo ad identificare la retina come parte dell’occhio. Il suo libro di medicina venne tradotto in latino e divenne per secoli uno dei testi fondamentali della cultura medica.
Averroè sostiene che la filosofia di Aristotele sia la verità stessa e che il suo compito si limiti ad esporla e chiarirla. Egli è profondamente convinto che la filosofia aristotelica è in fondamentale accordo con la religione musulmana che può servirsene per esprimersi meglio facendolo anche in chiave scientifica. L’insegnamento fondamentale che ci ha lasciato Aristotele però, per Averroè, è la necessità di tutto ciò che esiste. Il mondo e la natura sono necessari perché creati necessariamente da Dio. E siccome Dio è perfetto ne consegue che anche il creato lo sia, per questo anche il mondo, come Dio stesso, è eterno. Anche ogni accadimento nel mondo si verifica necessariamente, quindi non poteva verificarsi differentemente da come lo ha fatto. L’ordine del mondo non può quindi essere modificato, neppure dall’uomo, che, anzi, è anch’esso soggetto alla necessità divina.
Il determinismo della sua dottrina influenzò il metodo scientifico rinascimentale, che si convinse della possibilità di scoprire, in tutti i fatti naturali, un ordine necessario. Anche l’atto di creazione del mondo ad opera di Dio non è stato un atto libero, ma una manifestazione necessaria del creatore.
La necessità della natura e l’eternità del mondo sono due delle tre principali teorie di Averroè, la terza è quella dell’intelletto. Come già Avicenna anche Averroè distingue l’intelletto attivo da quello potenziale, a differenza di Avicenna, però, separa dall’uomo anche quello potenziale per la ragione che se l’intelletto passivo può trasformarsi in attivo allora dovranno avere la stessa natura. L’uomo partecipa all’intelletto divino e da tale partecipazione nasce una disposizione che estrae la forma intelliggibile dalle cose dando luogo ai concetti e principi che formano la conoscenza umana. Averroè riprende e modifica il paragone aristotelico della luce e dei colori, come il sole illuminando l’aria fa uscire i colori dalle cose, così l’intelletto attivo illumina l’intelletto potenziale che grazie all’intervento divino è in grado di astrarre i concetti e le verità universali.
Averroè credeva nella separazione dell’intelletto dall’anima. Le due teorie, quella della separazione dell’intelletto dall’anima e quella della eternità del mondo contrastano sia le credenze cristiane che quelle maomettane.