Come ha scritto la figlia Marina, il 17 ottobre 1982 ci lasciava Beppe Viola e moriva suo padre. È vero, per noi esterni alla famiglia, Beppe Viola è scomparso momentaneamente, poi è ritornato e continua a ritornare, più forte che mai. Uno di “quelli che” sono stati scoperti dopo, uno di “quelli che”, come la canzone di Enzo Jannacci, scritta da lui, Beppe Viola.
Un fuoriclasse incatalogabile, troppe le caselle da segnare, giornalista, scrittore, umorista, paroliere, attore, perdigiorno esperto di biliardo, di ore piccole e di colesterolo. Frequentatore di San Siro come stadio e come ippodromo, del Derby come calcio e come cabaret, inteso il Derby Club fondato e gestito dall’amico Bongio, il Gianni Buongiovanni andato di là anche lui presto, a 50 anni.
Aveva la passione di puntare sui cavalli e sui talenti da cabaret, aveva più fiuto per questi ultimi, quelli della stagione giusta si trovavano a casa sua, c’era Jannacci l’amico di una vita, Teocoli, Boldi, Abatantuono il figlio della Rosa la guardarobiera del Derby, il Faletti, Cochi e Renato, Villaggio e il Bruno Lauzi, “… che più sfigato non si può per colpa del fisico approssimativo ma utile”.
Il ritrovo era al bar Gattullo, zona Navigli, dove avevano messo su l’Ufficio facce, Cochi e Renato ci faranno una canzone, dai tavolini studiavano gli avventori per indovinarne dalla faccia il tifo calcistico, “Faccia da Milan”, e poi mandavano a chiedere per chi tifava. Chi perdeva sganciava, a volte anche la mezza gamba (il cinquantamila), o quella intera, dipendeva da come girava. Tifoso milanista, andava allo stadio per la partita, ogni tanto una sbirciatina ai cavalli dell’ippodromo, ma poi si gustava il Prodigio (Rivera): non avrebbe mai portato una donna al ristorante allo stadio, come si usa adesso, molto meglio una trattoria, magari con pergolato, ce n’erano ancora a Milano, le ultime, non era uno di “quelli che” il cibo spazzatura da fast food, la comanda era tipo risotto alla milanese e cassöeula, da leccarsi i baffi con la nebbia fuori e i rivoli di umidità ai vetri.
Le sue interviste erano uno spettacolo, fuori da ogni codice, per questo era malvisto negli ambienti e non fece mai carriera nella Mamma Rai. Scrisse una lettera al Direttore, “Ho quarant’anni, quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo”: muti. Storica l’intervista a Rivera sul tram n. 15. Salgono insieme e chiede al Prodigio “è una frase di Jannacci, dice che nessuno si occupa di quelli che prendono il tram: tu te ne sei mai occupato?”. Oppure a Spillo Altobelli, negli studi Rai dopo un derby piuttosto brutto, gli dice che la cosa più bella è stato il duello tra lui e Collovati, stessa capigliatura, “andate dallo stesso coiffeur pour hommes?”.
Oppure quando alla Domenica Sportiva mandò in onda le immagini di un derby precedente, perché quello del pomeriggio era stato un derbycidio, troppo brutto per essere mostrato. Ce ne sono tante da raccontare troppe, tutte meritevoli, le ha fatte tutte da posti comuni, ma non è mai caduto nel luogo comune.
“Quando c’era Beppe, Milano era una città viva“ scriverà Gianni Mura, e c’è da crederci, era uno di “quelli che” se ne intendeva. Oh yes….