Marco Dell’Oro era un signor giornalista e una persona per bene. Non sempre, anzi raramente, il binomio si coniuga con la perfezione che lui ha saputo impersonare. Un uomo mite, il tono della voce sempre basso, allenato più al sussurro che allo strillo. L’ho conosciuto trent’anni fa. Cronista de L’Eco incaricato di seguire l’attività del Comune di Bergamo. Sindaco era Guido Vicentini, a cui per tre anni feci da portavoce. Marco era un interlocutore attento, equilibrato, rispettoso dei ruoli e degli spazi di ciascuno.
Mai una parola fuori posto, mai una frase sopra le righe, mai un rilievo men che fondato. Un signor giornalista e una persona per bene, lo ripeto. Che subì in silenzio, ma con grande sofferenza, la defenestrazione improvvisa e immotivata dall’incarico ricoperto fin lì perché non era funzionale alle smanie dirigiste del direttore di allora.
Ma Marco amava profondamente il suo lavoro e seppe ripartire, non senza fatica, guadagnandosi anno dopo anno la stima di chiunque lo abbia incontrato e meritandosi vari avanzamenti di carriera fino al ruolo di caporedattore. Da uomo di grande cultura, il meglio di sé lo ha dato con l’inserto della domenica. Pagine di altissimo livello, forse anche un po’ sopra il target di riferimento, che potevano stare benissimo dentro un giornale nazionale.
Lì dentro c’era tutto Marco: le sue passioni, le sue curiosità, la sua voglia di confronto e di approfondimento. Perché non si fermava mai in superficie, anche nel rapporto umano voleva essere partecipe, condividere con l’altro lo scambio. Aveva tutte le caratteristiche del signor giornalista e le qualità della persona per bene. Connubio raro, lo ribadisco. Difficile dire di più con i sentimenti in tumulto. Anch’io come molti lo piango e conserverò sempre nel mio cuore quel suo sorriso timido, come lo ha definito Stefano Serpellini, che tante volte ho incrociato in questi trent’anni. Ciao Marco
N.b: il fatto stesso che circoli una sola foto di Marco dice tutto. Amava il basso profilo e rifuggiva il protagonismo. Una rarità