C’era un Brivio bergamasco, che ora non c’è più. Le due sponde dell’Adda erano ugualmente abitate. Da una parte la Chiesa dei Santi Sisinio Martirio Alessandro, santi della Val di Non, dall’altra, sulla sponda bergamasca, la Chiesa di Sant’Ambrogio con altre tre, quella di San Martino sulla via di Villa d’Adda ormai abbandonata, quella di Villasola che diventerà la pieve per tutta la zona, e quella di S. Maria a Bisone.
Luogo di scontri e assalti tra Milano e Venezia. Non per niente i milanesi costruirono e rafforzarono il castello, fortezza di difesa e di attacco sulla sponda che fino a poco era comasca, ora lecchese.
Testimonianza dei tempi di ferro, terra di confine e di passaggio, di controllo e di guadagni. Le famiglie che si contendevano il passaggio si chiamavano Suardi, Colleoni, Vimercati. I monaci di Civate o di Pontida “si accontentavano” di terre.
Sosta di nome e di fatto, dove cerco la vecchia chiesa di Sant’Ambrogio senza trovarla, né trovo chi me la indichi. Una casetta ha la parvenza di una piccola scuola o asilo, ora sede di un’associazione. Hanno nome Sosta il ristorante e l’hotel di qualità, in riva all’Adda dove si sostava per prendere barca o traghetto. Il ponte è fattura del 1912. Ponti in legno all’occorrenza erano stati costruiti in passato, già in epoca romana o prima ancora. Qui passava la via romana che si collegava con la Gallica, attraverso la pianura Padana. Da qui si raggiungeva Como prendendo il nome di Briantea, dal monte che taglia.
Guardando verso Cisano e la Val San Martino si ha l’idea di ere geologiche. La massima glaciazione arrivò fino a Merate strisciando contro i Corni di Bisone sotto Monte Marenzo, dove balza all’occhio il ciclopico blocco di roccia sprofondato come se la montagna si fosse improvvisamente aperta. Al ritiro del ghiacciaio si formarono laghi e l’Adda cominciò a scorrere e farsi largo, con ramificazioni, anse, slarghi, lasciando ghiaia, isolotti, paludi, alla ricerca di un alveo sempre mutante, mentre ruscelli e torrenti delle vallette laterali replicavano il lavoro di erosione e di scarico. Il Sonna che scende da Pontida e da Caprino creò lo scivolo verso il fiume. Il paesaggio si modellò e l’uomo con esso, e le attività agricole prevalenti fino a poco fa lasciano ora spazio ad abitazioni, fabbricati industriali o commerciali.
Sono passato da Bisone o “in Bisone” come si diceva a Calolzio, quasi fosse in una buca. Ci passavo in treno negli anni ’60, con una locomotiva sbuffante che da Cisano si scatenava a gran velocità, dentro e fuori le gallerie, dove bisognava chiudere i finestrini per non essere anneriti, come successe al bimbo disubbidiente del mio scompartimento, noi a ridere e lui in vergogna a farsi consolare e pulire dalla mamma. A Bisone erano comparsi un paio di condomini, qualcosa di strano lì, cresciuti dall’oggi al domani come a promettere uno sviluppo inarrestabile. Era il momento del cemento facile e a buon prezzo. Consonno, di fronte, faceva testo. I miei cugini si erano spostati qua ognuno con la sua attività.
Da Berto mi fermavo e lui mi accoglieva con un sorriso accennato anche se era passato del tempo. Senza fermarsi nel lavoro, curvo sugli stampi dove colava malta, intanto parlava, chiedeva, buttava pensieri che in lui si intrecciavano come i gomitoli di mia nonna, rimasugli di fili diversi. Il discorso vagava. Si sovrapponevano Egiziani o Romani – la storia era la sua passione – cellule e corpo umano – la figlia era biologa – le novità della sua casa sempre riadattata e abbellita – “vai sul piazzale e la vedrai su, oltre il bosco, sospesa sulla roccia”. La politica lo interessava poco. Parlava della Chiesa e dei preti che non si sposavano, dei giovani che non capiva, della nonna che teneva sempre una caramella in tasca, del nonno severo reduce da Caporetto, richiamato a 37 anni, tre anni al fronte con moglie e cinque figli a casa. “Marsciöi”, mocciosi, diceva a noi troppo liberi, dappertutto a toccare tutto. Berto parlava e ti faceva parlare, mentre liberava il manufatto dallo stampo o intrecciava la rete dei tondini di ferro, o usciva per a fare posto a chi doveva scaricare il materiale. “So sempre ché” mi diceva quando dovevo andare.
Di Bisone si parla nelle carte antiche. I suoi abitanti si facevano sentire nelle contese. Anche qui si pagava pedaggio e c’era chi lo riscuoteva per il Duca o per il Vescovo. I paesi come gli uomini vanno e vengono, compaiono e spariscono. Zona di nebbia, e quando c’è crea fantasmi. Mi sono fermato alla chiesa di Santa Maria. Ho chiacchierato con uno che ci abita da cinquant’anni e ha conosciuto i miei cugini. Mi ha indicato le poche case di una volta, il cascinale riadattato per abitazione, quello trasformato in villa. Aprono la chiesa di domenica per la messa. Il centro è tutto qui sul dosso, con il bar, il distributore e il semaforo a chiamata per l’incessante traffico.
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