Primo weekend in zona gialla e primo allarme assembramenti. Ormai è un refrain, quasi noioso: ti dicono che finalmente puoi uscire di casa ma se lo fai poi ti devi sentire in colpa perché scatta subito la psicosi della folla. Lo abbiamo visto a Natale, con la caccia allo zampone. A ben guardarci, cercando di estraniarsi come se non ci vivessimo in mezzo da un anno fino ad arrivare a una prospettiva orbitale che garantisce una sufficiente distanza dai fatti e dalle conseguenze, la colpa è uno dei fili conduttori della gestione della pandemia: la colpa della zona rossa, la colpa della mancata preparazione, la colpa dell’ospedale di Alzano, la colpa della mancanza delle mascherine, la colpa delle chiusure delle attività economica, la colpa dei contagi, la colpa della socialità, la colpa dei vaccini e potrei proseguire per pagine e pagine.
Travolti da questo dramma inatteso, da questo trauma non previsto cerchiamo disperatamente una colpa. Non riusciamo più ad accettare che un’epidemia o una nuova malattia faccia naturalmente parte delle vicende della vita umana, quindi dobbiamo razionalmente trovare un colpevole. Per mesi hanno cercato di spacciarci scientificamente che dipendesse persino dall’inquinamento dell’aria. Non siamo in realtà troppo diversi dai nostri antenati medievali o moderni, questi ultimi raccontati dal Manzoni, che si mettevano in processione flagellandosi per placare la collera di Dio oppure cercavano ovunque degli untori. I primi trovavano la colpa nei propri comportamenti e si punivano flagellandosi. I secondi trovavano la colpa negli altri e li punivano linciandoli. Colpa e punizione.
Il meccanismo psicologico prima, politico poi, resta lo stesso. Il nostro Dio è la scienza, ma per il resto la psiche umana funziona allo stesso modo. La negazione delle libertà è una punizione per una colpa, quella di diffondere il contagio come testimoniato dalla scienza, cioè dalla religione. Quindi la punizione è giusta e l’autorità si legittima proprio per la sua funzione di punire l’errore. Un po’ come il sacerdote con la confessione, senza la quale si veniva esclusi dalla comunità dei fedeli che possono ricevere la comunione in Cristo durante la messa.
Vengo al punto, altrimenti prendiamo il largo. Questo breve, ma lungo giro, era solo per introdurre il commento alle parole del sindaco di Bergamo Giorgio Gori che ieri sera se ne è venuto fuori, perfettamente intonato con il coro delle litanie degli ipocondriaci, accusando i bergamaschi di comportamenti stupidi. Insomma di essere stupidi: il sostantivo “comportamento” è stato inserito solo per rendere meno offensiva l’affermazione. Si sa che il nostro Giorgio di comunicazione se ne intende.
Ma se le regole delle zone gialle sono intelligenti , rispettandole i cittadini possono creare delle situazioni a giudizio del sindaco pericolose? Ancora mi domando, se gli stupidi siano i cittadini, quelli che hanno fatto le norme o invece piuttosto quelli che devono gestirle per fare in modo che vengano scrupolosamente rispettate come il sindaco?
Dopo esserci lungamente flagellati per espiare collettivamente le colpe, i risultati si sono mostrati scarsi e discutibili. Per non perdere la presa, non resta che passare all’espediente successivo e scovare gli untori, quelli che non si conformano abbastanza bene ai precetti. I runner, i giovani, i turisti e anche qui potremo fare un lungo elenco: chi più ne ha più ne metta. In passato qualcuno avrebbe detto gli ebrei. Perché no? Questa brillante soluzione avrebbe sicuramente raccolto ampi consensi, non solo tra gli ipocondriaci.
Tornando però a Gori quindi e per chiudere, non è che invece, semplicemente, citando Forrest Gump: stupido è chi lo stupido fa?