Intervento di Carlo Sini
L’alterità si pone nel discorso filosofico. C’è il discorso giusto e uno falso, verità e opinione, sincerità e semplice astuzia solo per catturare l’ascoltatore. Come dice Platone nel Sofista: il sofista è lupo, il filosofo è come il cane che protegge il gregge. Parla del vero che richiede l’arte, il metodo per evitare l’errore. Usa l’immagine della tecnica della lenza nel pescare. Il reale è complesso, va sviscerato con paziente ascolto. La relazione identità e alterità è questione originaria ed Eraclito, che Aristotele definiva “l’oscuro”, ci aiuta ad affrontarla.
“La trama nascosta è più forte della manifesta”. Nel complicato succedersi di accadimenti, incontri, memorie e speranze, alti e bassi, c’è una trama che si dipana, una melodia di fondo, un carattere che si delinea nella vita. Compito del filosofo è coglierne il senso.
“C’è un’armonia che da un estremo ritorna all’altro estremo com’è nell’arco e nella lira”. La tensione dell’arco è anche quella che permette di raggiungere il bersaglio. La tensione della corda è sforzo, contrasto, violenza, da cui si genera il suono armonioso.
“Un’unica cosa è la saggezza, ossia comprendere la ragione per la quale tutto è governato attraverso tutto”. Non punti isolati ma in relazione con l’intorno. La saggezza non è militanza od ostinata opposizione che genera paura e violenze. Le altre visioni sono necessarie perché completano. L’uomo non basta a se stesso (Agostino), Dio e natura coincidono (Spinoza), la totalità è articolazione delle parti (Hegel).
Sempre Eraclito, l’oscuro, che sembra dire e smentire: “Polemos è il padre di tutte le cose”. Il conflitto genera un’armonia. Il conflitto è dovunque, prendere una parte è entrare in conflitto. Per costruire però.
“Una e la stessa è la via, dritta e curva come nella pianta della vite, all’in su e all’in giù”. I contrari si compongono in un’unità più profonda. Là dove c’è il nemico c’è anche l’amico. Nella pace convivono posizioni diverse.
“Il dio è notte e giorno, inverno ed estate, guerra pace, sazietà fame, e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi e prende il nome dall’aroma di ognuno di essi”. Le parole si ripetono, si compongono e scombinano. Il linguaggio è comprensione e si chiarisce nel contrasto. Dal contrasto l’armonia. L’estraneo e il proprio entrano in relazione, non uno che annulla l’altro ma i due in unione (Hegel). Il divenire è padre delle cose, vita che accade, il saputo tradotto in sapere. Come l’infante che nasce e subito dalla vita che lo ha generato si stacca. Intorno a lui è freddo, ci sono rumori e luci, e lui opponendosi vive. E-sistere, separarsi è divenire qualcuno. Diventare uomo è un cammino, l’alterità è anche la mia identità.
Diceva C. Levi-Strauss: “la più grande disgrazia per una comunità è essere sola”.
Intervento di Florinda Cambria
Il tema originario di identità e alterità diviene nell’Ottocento un tema etico e politico. Già Hegel aveva parlato della relazione servo-padrone. C’è una lotta per la sopravvivenza. Il mondo è da trasformare attraverso il lavoro, ma c’è un conflitto tra chi vuol dominare e chi si sente dominato. Se i bisogni sono soddisfatti per via gerarchica, si sviluppa una lotta tra classi sociali.
Per Marx la lotta è transitoria. La storia muta al mutare dei rapporti di forza. C’è un superamento non per autocoscienza come diceva Hegel, ma per rapporti materiali, economici. La rivoluzione cancellerà le differenze come cancellerà le classi sociali. Si cancella l’appropriazione dell’origine.
Ma la fine della lotta, si domanda Sartre, non è forse la chiusura della storia?
Sartre coglie l’ambiguità della visione di Marx. Nella tragedia del Secolo breve pubblica L’Essere e il Nulla (1943), Il senso dell’altro è colto secondo una relazione alienante. L’altro, soggetto come me, mi riduce a oggetto, mi imprigiona, come io faccio con lui. Ognuno guarda l’altro secondo il proprio progetto. Si tratta di un’alterità negativa. “L’inferno sono gli altri”. Ognuno è in guerra costante con gli altri per far prevalere il proprio punto di vista. L’altro minaccia la mia libertà.
Negli anni ’50 Sartre matura però un’altra visione. Riflette sul tema della “prassi”. La prassi è un processo di interiorizzazione e di esteriorizzazione. Qualcosa dato fuori è assunto nel mio campo, viene interiorizzato; ma è poi è restituito negli effetti. Agendo restituisco. La relazione diviene correlazione, composizione dinamica delle differenze. Io muto il mondo come il mondo muta me.
In L’intelligibilità della storia. Critica della ragione dialettica (1958-62) rimasta un’opera incompiuta, Sartre si pone il problema di comporre struttura della prassi e quella del conoscere. Si tratta di tenere insieme le differenze. Ogni composizione è contraddizione. La contraddizione non è necessariamente violenza. Resta aperta la composizione nella reciproca resistenza. Ognuno rivendica la propria differenza ma la differenza è tutela di identità. La violenza mira a interrompere la relazione, a omologare. La storia invece è in corso e le sintesi sono provvisorie. Si tratta di esercitare una comprensione che è un tenere insieme. Per sintesi parziali si procede. La conoscenza facendosi pratica si rilancia e si fa altro. Non semplice contrapposizione soggetto e oggetto. L’azione che è conoscente e agente muore ma lascia segni, gesti, modelli per altre azioni e le azioni degli altri, in un’alterità aperta.
sintesi della relazione di Carlo Sini e Florinda Cambria
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