Chi sono io? La domanda sull’identità di me coinvolge l’altro. Riflettendo su di sé è come se io mi rivolgesse a me come ad un altro. So perciò di conoscere, di volere, di agire; so di appartenere a una famiglia e a una cultura, di avere un linguaggio. Cercando in me mi allargo ad altro e agli altri.
La domanda filosofica rischia di essere astratta. Socrate chiedeva non tanto quali azioni erano buone ma che cosa fosse la bontà, cosa la verità, la santità. Tuttavia la pura identità (“io sono io”, parafrasando A=A) diventa un concetto rigido, chiuso. Abbiamo bisogno di declinarlo in un’identità aperta: meglio ragionare per somiglianza, diceva l’antropologo Francesco Remotti (Contro l’identità 1996). L’identità si costruisce sulla somiglianza e la differenza, nel confronto.
La filosofia moderna con Cartesio è nata sulla domanda dell’io: “Chi sono io?” E lui rispondeva: “Sono cosa che pensa”. Aggiungendo: “Ma anche ciò che sento, ciò che mi emoziona ed esperimento”. Sull’io si è soffermata la filosofia fino all’io di Nietzsche, un io che sta male con se stesso, è errante e vuol diventare altro, andare oltre se stesso, “oltre l’uomo”. Questo comunque è il mondo in cui siamo gettati, in cui nasciamo, con un proprio orizzonte culturale, attraverso cui comprendiamo eventi, cose, gli altri, noi stessi.
Nascendo in una cultura ci accorgiamo che la nostra non è la sola. Ce ne sono altre. E partendo dall’io incontriamo il tu. Edipo vuol conoscere sé stesso. Eppure sta bene: è diventato re! “Lascia perdere” gli dicono. Finisce per scoprire altro e inizia la sua sfortuna. L’io non è mai solo. Ci sono altri io che per ciascuno di noi è un tu, mentre gli io lontani diventano “loro”. L’orizzonte si allarga, oggi nel mondo globale, mondo diventato piccolo e quel che succede là tocca noi qua.
Che cos’è l’alterità? Chi sei tu?
Secondo Parmenide, alle origini della filosofia occidentale, l’altro non esiste. L’Essere è, il non essere non è. La verità è una, l’altro è opinione evanescente. Platone però non è d’accordo. C’è anche il Non, c’è il negativo e non è indifferente. Il tavolo non è la sedia e non è pensabile senza la sedia. Il latino ha due termini per l’altro: alius e alter. Alius – il corrispondente greco è àllos – è chi si contrappone, l’altra sponda del fiume, il tutt’altro, il falso, il nemico per Carl Schmitt che vede le categorie dell’agire politico ridotte a amico-nemico. Alter, in greco èteros, è invece il secondo termine di una coppia, l’altro a cui sono legato e che lega, è una differenza che conta.
Dietro le parole vengono gli atteggiamenti. C’è l’io che deborda e vede l’altro come sé, la stessa faccia che vedo nello specchio, e vuole assimilare l’altro, subordinarlo al proprio interesse. C’è invece l’io che vede nell’altro una differenza, l’io è soltanto una parte, l’altro è la parte che mi completa.
Io non mi esaurisco nell’istante, in un punto, ma piuttosto in un intreccio, un groviglio di pensieri ed emozioni, scelte fatte o subite, desideri e propositi. Sono in una situazione e in una relazione, così guadagno me stesso, decido la mia identità. Si dice “io sono libero”, ma la libertà non può essere totale, è legata al contesto. Sono libero nel mio corpo, con questa mano che mi permettere di prendere o accarezzare, creare o distruggere. Sono libero di parlare e mi esprimo in italiano, in un certo modo e posso comporre una poesia o dire una bestemmia. Gioco a scacchi e muovo questa o quella pedina ma nel rispetto delle regole del gioco. Ci sono le regole: semmai diamoci da fare per migliorarle e avere istituzioni migliori.
Costruiamo l’identità che non è una necessità. Non è un’identità data all’inizio una volta per sempre. Nell’esperienza ci costruiamo e mutiamo, come l’albero che spoglio d’inverno fiorisce in primavera. Ci costruiamo con l’altro. Percepisco l’altro come altro me, di cui mi fido o diffido. Una relazione mi costituisce e mi ha costituito. Agli altri siamo stati affidati e ci affidiamo. Anche il monaco cerca e si fida, il suo tu è l’Assoluto.
Si possono avere esperienze negative e positive. Sperimentiamo il dolore. Il dolore più profondo è quello causato da un tu: dell’altro ci siamo fidati e l’altro è mancato. Soffriamo perché qualcosa di noi viene meno. Soffriamo e impariamo. Il sapere viene dalle cose che ci toccano. I genitori cercano di evitare ai figli le esperienze negative? “Fatica sprecata, secondo Gadamer, anzi dannosa! Non saranno mai individui”.
L’esperienza di sé si lega all’esperienza del tu. Nell’altro trovo il modo di costruire me stesso. L’altro non è il feroce nemico ma “il prossimo”. Nell’altro comprendo me stesso e senza l’altro non saremo mai noi stessi. “L’essenza dell’uomo è contenuta solo nella comunione, che è l’unità dell’uomo con l’uomo, e si appoggia nella realtà della differenza tra io e tu” (Ludwig Feuerbach, Principi della filosofia dell’avvenire, 1844).
sintesi della relazione di Massimo Marassi
CHI SEI TU CHI SONO IO. Per una filosofia futura
Bergamo Liceo Mascheroni, 19 novembre 2024
all'interno del Programma Noesis 2024/2025