Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando in un settembre di polvere di fuoco,
Chiedi chi era Victor Jara.
Se vuoi ascoltare non solo per gioco
il passo di mille pensieri,
Chiedi chi era Victor Jara.
Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontano, fino al 16 settembre del 1973,
Chiedi chi era Victor Jara.
Chiedilo ad una ragazza di 15 anni di età,
lei ti risponderà:
Ma chi era mai questo Victor Jara, chi era mai questo Victor Jara?
Ma anche se sei una ragazzina bellina col tuo naso garbato, gli occhiali e con la vocina,
è bene sapere chi era Victor Jara.
Victor Jara era un cileno, cantante, poeta, regista di teatro, professore, esponente della Nueva Canción Chilena, un gigante della cultura, un non violento che combatteva ogni sorta di sopruso, cantava l’amore e il diritto di vivere in pace, aveva un esercito di parole e per arma una chitarra con cuore di terra ed ali di colomba, e un profumo di primavera.
Voce degli ultimi, dei campesinos e degli operai, non cercava fama internazionale ma è diventato un simbolo universale di libertà, della resistenza agli oppressori e della difesa degli oppressi, le sue canzoni cantate in poesia dalle Ande agli Appennini, tra gli altri da Bruce The Boss, Bono Vox, Roger Waters: i genitori Amanda (sangue Mapuche) y Manuel, giovani operai che si incontravano nella pausa pranzo della fabbrica, cantati dal Maestrone di Pavana e dalla tromba di Berchidda: gente di sentimento e ragione.
Il suo desiderio di pace si è scontrato con la sete di odio e violenza del generale che di Augusto aveva solo il nome, un’anima nera, razza fascista che non ama l’amore ma il possesso, oppressore dei deboli, servo dei forti, davanti a Dio e alla Storia si autoinveste di una missione suprema, bonificare la Patria attraverso l’eliminazione di qualsiasi forma di dissenso, in qualsiasi modo.
L’11 settembre 1973 il golpe contro Allende, Augusto Pinochet arpiona nel sangue il potere e lo manterrà nel sangue per 16 anni, migliaia di assassinati, torturati, seviziati, desaparecidos, tra i primi c’è proprio Victor Jara, il 12 settembre i militari lo prelevano dall’Università e lo portano a forza nello Stadio del Cile di Santiago, trasformato in lager. Due torti imperdonabili, essere comunista e aver sostenuto Salvador Allende con le sue canzoni: gli aguzzini non perdonano, lo massacrano di botte e torture, i calci degli stivali neri, delle pistole e dei fucili gli spezzano le ossa, ma soprattutto le mani, quelle mani che accompagnavano la musica delle sue canzoni e del suo impegno per i diritti e la libertà, giocano alla roulette russa col suo capo tumefatto e sanguinante, fin quando il giro di tamburo non incrocia il proiettile, ma non basta, continuano a divertirsi scaricandogli addosso altri 43 colpi.
È il 16 settembre 1973, il corpo di Victor Jara viene abbandonato con qualche altro in un angolo periferico della città, qualcuno lo riconosce, avvisa la famiglia, di nascosto viene sepolto senza nome in un luogo segreto, fin quando il generale non sarà morto. Poche settimane prima del golpe scrisse la sua canzone “Manifiesto”, suona come una premonizione:
“ …(La mia) chitarra non è per i ricchi,
né niente che le assomigli.
Il mio canto viene dall’impalcatura
per raggiungere le stelle,
perché una canzone ha senso
quando pulsa nelle vene
di un uomo che morirà cantando
le crude verità…”
Victor Jara aveva 41 anni, poche settimane fa, proprio in prossimità del 50° anniversario del golpe e della sua morte, la giustizia ha condannato sette militari in pensione per il suo omicidio, uno di loro si è tolto la vita. La giustizia è arrivata in ritardo, ma la memoria di Victor Jara è più viva che mai. Ha cantato, incantato e incarnato intere generazioni, per uccidere Victor Jara hanno riempito di Jara il Cile.
Da allora Victor Jara canta fra onde di sole e cammina nel cielo del mare, con lui il Condor sacro degli Incas simbolo del regno dei cieli, contro di lui il Condor del Piano americano che ha addestrato i militari a combattere i movimenti di sinistra per liberare il mercato a favore dell’ultraliberismo del capitalismo di rapina.
Hanno ammazzato Victor, ma Victor è vivo (non gliel’ho chiesto, ma so che il Principe mi autorizza).
Chiedi chi era Victor Jara.
Post Scriptum
Alcune parole e frasi del testo non sono mie, in particolare ho ripreso e accostato liberamente gli Stadio, Flaiano, ed ovviamente Victor Jara, le parole più belle sono le sue. La foto a colori è dalla copertina di un album del 2000 di Daniele Sepe, sax, ma non solo, impegnato della new wave napoletana che ha rivisitato in chiave jazz canzoni di Victor Jara, voce principale José Seves, storico componente degli Inti-Illimani: la musica non è solo “Ti amo, mi ami?”)