Avevo in classe un compagno di Clusone. Parlando ognuno del proprio paese si vantava del suo perché “città”. A noi sembrava esagerato e ridevamo, solo Bergamo meritava il titolo di città. Ripercorrendola, oggi, mi è tornato in mente e se lo incontrassi gli darei ragione.
Salendo dalla Chiesa del Paradiso con la piazza che raccoglie diverse vie, è un seguito di abitazioni prima dalla facciata ordinaria, poi con l’ingresso abbellito dallo zoccolo marmoreo, con cornici alle finestre, il balconcino, le lesene che interrompono la monotonia della parete, il fregio sotto il tetto. Si attraversano slarghi o piazzette dove al mercato di un tempo si sono sostituiti i bar coi tavolini che la giornata di sole rende animati. La strada si biforca, e quella che sembra la principale sale e raccoglie altre viuzze, da su o da giù.
Tengo d’occhio la segnaletica che indica la Basilica, l’Oratorio dei Disciplini, la Danza macabra, la Chiesa di S. Anna, il Palazzo Fogaccia, il Palazzo Marinoni Barca, il Palazzo comunale e naturalmente l’Orologio, giusto motivo di orgoglio dei clusonesi, che ancora batte e segna ore, stagioni, cicli lunari, segni zodiacali, movimenti planetari. L’ideatore, Pietro Fanzago, vi ha raccolto (1583) conoscenze, tecnologia e gusto artistico del suo secolo. Si viene a respirare aria di altri tempi, tempi di carrozze e cavalli, di bandiere risorgimentali e di gonfaloni guelfi, della Repubblica veneta e dell’Italia monarchica, di podestà e sindaci, dell’arengo medievale e di assemblee municipali, di lanaioli e di famiglie nobiliari.
Alla Basilica che domina si apre la piana con il Pizzo Formico sullo sfondo e il cucuzzolo del Crosio vicino. Posso soddisfare le mie curiosità – per caso e per fortuna – con un signore che mostra presto di essere ben addentro nell’arte e nella storia del luogo.
Il titolo di Città fu ottenuto al tempo di Napoleone e Clusone partecipò con delegati propri alla Consulta di Lione (1802) che trasformò la Repubblica Cisalpina in Repubblica italiana. Sul Crosio – da crux, croce? – mi racconta che prima della Chiesa c’era una rocca militare. Con la peste ricordata dal Manzoni già in corso, Venezia aveva rafforzato la guarnigione. Era in corso la guerra per la successione del Ducato di Mantova (1630) e bisognava scoraggiare gli sbandati che saccheggiavano. Una notte fu dato l’allarme e i soldati scesi precipitosamente in città a difenderla portarono insieme la peste. La popolazione di Clusone – allora di duemila anime – si dimezzò.
Della Danza macabra, mi fa notare, il danno arrecato per un successivo rialzo dell’edificio. Una nuova confraternita reclamava il proprio spazio e la sua cappella. Per realizzare la scala e la porta d’ingresso tagliarono la fila dei personaggi di rango inferiore – ciascuno si riconosce dallo strumento di lavoro – sotto la morte che trionfa.
Dentro l’Oratorio dei Disciplini l’occhio si lascia prendere dal gioco di indovinare le storie rappresentate, almeno noi educati da piccoli a certi insegnamenti e spiegazioni. Ma non sempre è facile. Il Vangelo parla di incontri con le donne, con la Maddalena, con i discepoli, non dell’apparizione del Risorto alla madre come sembra rappresentare il riquadro che si vede entrando, a sinistra. Le mani di lui e di lei si congiungono affettuosamente. Pare che la madre indugi, come per trattenerlo ancora, benché figlio destinato alla gloria.
Stupisce l’ancona lignea dorata dell’Annunciazione per quella cavità nel grembo della Vergine a forma di rosa camuna. Allude forse alla frase di Isaia “… un germoglio spunterà dal tronco di Jesse”? Salutandoci gli chiedo il nome. “Mino Scandella” risponde. Perbacco! mi son detto; era lo stesso nome che avevo letto sul tabellone di spiegazione dell’Orologio.