Una delle immagini più drammatiche che è stata impiegata per raccontare le conseguenze della pandemia è, come ricordava il Presidente Draghi nella recente visita a Bergamo, quella dei carri dell’esercito con le salme dei nostri defunti. Prima di quello scatto il nostro mondo era stato caratterizzato da una profonda tensione al perfezionismo tecnico e alla razionalizzazione in cui il fattore ontologico rappresentato dalla fragilità umana era praticamente ignorato. Tuttavia, proprio davanti a quel corteo infausto, le nostre certezze tecnologiche sono state spazzate via creando in ognuno di noi un profondo senso di vuoto e solitudine.
Sono emerse così, guardando anche i vari post che circolavano sui social, delle nuove ma antiche domande sul senso dell’esistenza alle quali, probabilmente, avevamo smesso di dare adeguata attenzione perché ridotte a semplici questioni adolescenziali tanto eravamo impegnati nella perfetta e precisa pianificazione delle nostre attività. Siamo entrati, utilizzando una metafora, in un sepolcro pieno di ansie e paure caratterizzati, però, da quel indomabile desiderio di vita che ci ha spinto e, ci spinge ancora oggi, come ricordava il Sindaco Gori nel suo discorso per la giornata di commemorazione del 18 Marzo, a “non mollare”.
Ma esiste un’altra prospettiva oltre questa della strenua resistenza? Guardando il Volantone di Pasqua di Comunione e Liberazione sembra proprio di sì. Ne parliamo con Michele Campiotti, uno dei responsabili della fraternità di CL:
Pietro e Giovanni entrarono nel sepolcro vuoto per uscirne positivamente “rigenerati”; cosa ci può aiutare a venir realmente fuori dal “sepolcro delle paure legate alla pandemia”?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo immedesimarci in quei due che irrompono nel sepolcro: Chi erano? Che vita avevano fatto? Chi era Gesù per loro? Questi due da anni seguivano Gesù ovunque, erano suoi amici e partecipavano ogni giorno di una eccezionalità che non finiva mai di stupirli. Per questo ogni giorno si legavano di più a Lui perché Lui generava in loro una speranza imparagonabile a tutto ciò che avevano vissuto prima. E’ questo legame che gli permette di intuire la positività di quello che è accaduto quando non trovano Gesù nel sepolcro: quello di cui quell’uomo parlava, la profondità cui venivano introdotti stando con Lui, era concreta, così concreta da far intuire ciò che era accaduto. Analogamente per venir fuori dalle paure legate alla Pandemia come a qualsiasi altra cosa è necessaria un’amicizia così profonda da permetterti di entrare in qualsiasi situazione con speranza. Come il bambino che accompagnato dalla mamma non ha paura di nessun buio.
“Gesù voltò le spalle al sepolcro, Gesù voltò le spalle alla morte” (cit. prete di Napoli in omelia di Pasqua 2005): prima della pandemia il tema della morte era un tabù culturalmente ignorato ma, purtroppo, quest’ultimo anno ci ha dimostrato che è un dato inevitabile dell’esistenza. Nel quadro di Romanelli il “Cristo Risorto” (nella foto di copertina) non si vede: qual è la sfida culturale che viene lanciata all’osservatore?
La morte può essere anche ignorata dalla cultura dominante, ma è dentro il cuore di tutti gli uomini. I fatti accaduti, danno ragione al cuore degli uomini. E’ proprio questo cuore che trova ragione adeguata solo nel Cristo Risorto. Dove lo si vede? Non in quello che si desidera immaginare, ma nella concretezza di quello che si ha davanti. “In ogni tempo, attraverso tutta la storia”, nella “forza redentrice di tutta l’esistenza del singolo e della storia umana”. C’è di più in quello che viviamo di quello che ci sembra, noi spesso lo sentiamo dovuto, o parziale, in realtà, se guardiamo le cose in modo meno superficiale ci accorgiamo che hanno sempre dentro qualcosa di “non dovuto”.
“Gli uomini, giovani e non più giovani, hanno bisogno ultimamente di una cosa: la certezza della positività del loro tempo, della loro vita, la certezza del loro destino” – Don Giussani -: per tante persone che, purtroppo, non sono riuscite a dire addio ai propri cari il dolore è ancora comprensibilmente forte; la certezza della positività della vita, nostra e dei nostri defunti, su quale tipo di consapevolezza si fonda?
E’ una domanda molto difficile cui rispondere. Credo che per stare davanti a queste cose è necessario guardare Cristo ed immedesimarsi con Lui. E’ diventato uno di noi, ha vissuto come noi, incontrando le stesse incongruenze, ha sofferto per il bene fino a farsi uccidere e morire in Croce per noi. Ha preso misteriosamente su di sé tutto il male del mondo, ed è morto per il mondo. Prima di morire diceva “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. E’ risorto perché potesse diventare sempre più nostra la certezza che non vince il male nel mondo, ma vince il bene. Oggi nella Chiesa è ancora possibile incontrare la Sua compagnia fisica che ti introduce alla stessa certezza. Anche quando la vita diventa difficile essa può introdurre ad una scoperta sorprendente, più che il dolore umanissimo per chi si è perso, la gratitudine per averlo avuto dentro il disegno misterioso del Padre. E’ un cammino di libertà che riguarda ciascuno di noi.