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Nella descrizione del progetto “Capitale italiana per la Cultura” c’è un passaggio molto significativo che spinge le realtà premiate a “condividere la riprogettazione culturale dei territori a partire dalla partecipazione e dalle voci di chi quei territori li abita ogni giorno”. Nel 2023 questa sfida toccherà a Bergamo e Brescia, le comunità più colpite dal virus alle quali un emendamento al decreto Rilancio ha dato l’ok per il conferimento del titolo.

Ora le due città dovranno presentare al Mibact (Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo) un progetto unitario entro il gennaio del 2022 con le iniziative per incrementare la fruizione del patrimonio culturale. Eventi come questi hanno già dimostrato negli anni più recenti di poter fungere da acceleratori dei processi: è stato così per la preparazione dell’Expo del 2015, vera e propria palestra del “fare sistema” che ha creato le premesse per il grande sviluppo turistico degli ultimi anni, e per altri versi, anche il G7 dell’agricoltura del 2017 e il grande coinvolgimento della società civile ha dato un forte impulso alla rete dei soggetti impegnati sui temi di un’economia solidale.

Il successo dei grandi eventi, oltre i dati dell’indotto economico, si misura spesso da ciò che rimane nel medio periodo. E perché sia così anche questa volta, c’è bisogno di una preparazione che abbia un respiro lungo, nella larghezza dei soggetti coinvolti e nella profondità del messaggio attorno al quale lì si aggregherà. Oltre alla già ottima offerta culturale della città, ci possono essere alcune piste su cui lavorare:

1) Cultura come territorio: coinvolgere l’intera provincia, dalle realtà delle nostre valli ricche di storia e bellezze naturali fino alle terre della pianura di Ermanno Olmi, dai Comuni dei laghi che già hanno beneficiato del genio di Christo alle zone dell’Isola bergamasca che stanno costruendo nuove sinergie, magari proponendo gemellaggi tra i 243 Comuni bergamaschi e i 206 bresciani. Un’istituzione come la Provincia potrebbe in questo senso svolgere un ruolo importante, e al tempo stesso cogliere l’occasione per spingere il Ministero a concludere l’intesa con la città laziale di Ardea e riportare in prestito sul territorio le opere del Manzù.

2) Cultura come nuove generazioni: ingaggiare da subito le scuole di ogni ordine e grado. Non c’è miglior modo di parlare del futuro della nostra terra se non dando voce ai protagonisti di domani, bambini e ragazzi che hanno vissuto le difficoltà del lockdown e ai quali, più che chiedere come si sono sentiti isolati nei mesi scorsi, occorrerebbe dar voce sui temi del cambiamento di cui sono portatori, a partire dalla sostenibilità, la vera cartina di tornasole di una nuova consapevolezza post Covid.

3) Cultura come lavoro, perché molti sono gli operatori del settore che attendono il riconoscimento delle proprie specificità produttive, come evidenziato dalle recenti campagne #senzamusica e #iolavoroconlamusica.

Comuni, scuole, lavoratori: tre possibili alleanze attorno alla profondità di un messaggio: la cultura come strumento per prendersi cura delle ferite, per ripensare al senso delle relazioni dentro le nostre comunità e al nostro modo di vivere in relazione al pianeta, per dare a tutti un segnale di fiducia. Bergamo e Brescia hanno tutte le carte in regola per vincere anche questa sfida.

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