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Sulla questione di quale delle facoltà umane fosse la più determinante, Mencio sosteneva che fosse il cuore, mentre Xunzi la mente. Mencio credeva che “ogni persona ha un cuore sensibile alle sofferenze degli altri”; infatti, disse, vedere un bambino cadere in un pozzo farebbe inorridire chiunque potesse essere un testimone. Reazioni come l’orrore e il dolore sono una risposta proveniente dal cuore e ciò, secondo Mencio, rappresenta la dimostrazione che tutti gli esseri umani nascono con impulsi buoni. Le persone a cui manca il sentimento di commiserazione devono biasimarsi, perché hanno perso la loro naturale bontà e lasciato i loro cuori moralmente sterili (Mencio, 6A:8).

Mencio dedicò molte sue energie allo studio della natura umana, e disse che le sue idee le aveva prese da Confucio, anche se, come si apprende dagli Analects a Confucio non piaceva parlare della natura umana (Analects, 5:13). Mencio, da parte sua, voleva andare molto oltre usando la sua teoria della natura umana come base di un’intera filosofia morale. Usando una figura leggendaria per illustrare i punti chiave del suo insegnamento, Mencio raccontò come Shun fu in grado di salvarsi diventando imperatore nonostante tutti i problemi familiari che ebbe (padre folle, matrigna crudele e fratellastro problematico). In effetti, secondo Mencio, in nessun momento, nemmeno quando la sua famiglia stava complottando contro la sua vita, Shun fu mai risentito o irrispettoso verso i suoi genitori (Mencio, 5A: 1, 2, 3).

Sebbene anche Confucio avrebbe riconosciuto nella storia di Shun un valido esempio di ciò che aveva insegnato sulla filialità, non si sarebbe forse spinto così lontano come fece Mencio nel fare di lui il modello di comportamento assolutamente perfetto di come dovrebbe essere un figlio.

Il pensiero di Mencio può sembrare oggi un po’ semplicistico, nonostante ciò ebbe parecchio seguito tra i giovani e fu molto apprezzato come consigliere politico tanto che il suo servizio era spesso richiesto. I suoi rimproveri includevano sempre un messaggio positivo e costruttivo, per questo, ai governanti del suo tempo non dispiaceva ascoltare le sue rimostranze. Mencio era un ottimista riguardo alla condizione umana. Diceva ai sovrani che, indipendentemente dagli errori e dalle malefatte che possono aver commesso in passato, avrebbero sempre potuto recuperare per fare del bene se si fossero impegnati.

Xunzi, che sulla natura umana la pensava all’opposto di Mencio, non voleva però sfidarlo e nemmeno essere polemico quando affermava che la natura umana è ripugnante. Semplicemente riteneva di essere più vicino alla realtà e, soprattutto, pensava che in questo modo avrebbe incentivato, nelle persone, il desiderio di attivarsi per il cambiamento. A tal fine, scrisse, in merito ai desideri come gestirli prima che diventino ossessivamente fuori controllo (Xunzi, capitolo 21); sul potere raccomandòcome usarlo in modo efficace e onesto quando lo si possiede; descrisse anche quale differenza vi fosse tra la forza bruta e l’autorità di un vero re (Xunzi, capitolo 11).

Xunzi viaggiò molto ed è sempre stato presente nei circoli della politica, lavorando con diversi capi di stato e spesso assistette alle loro terribili condotte. In effetti, la fase più violenta della storia del tardo Periodo degli Stati Combattenti si è verificò durante la sua esistenza. Molti prigionieri furono sepolti vivi e torturati sebbene si fossero arresi. Xunzi utilizzò tali esperienze per scuotere gli uomini del suo tempo dalla loro apatia mentale e morale.

Oltre a dispensare consigli, Xunzi offrì una guida fatta di esempi tratti dalla vita del duca di Zhou e suo padre, Wenwang, prendendoli come modelli di condotta e carattere. Del Duca di Zhou, Xunzi disse che era nato al potere e sapeva come utilizzarlo, e, anche quando sembrava che non si comportasse nel migliore dei modi, la gente si fidava di lui ugualmente come era sicura della ciclicità delle quattro stagioni: tale era l’integrità di quest’uomo (Xunzi, Capitolo 8).

Anche Confucio ammirava il duca di Zhou per la sua visione politica e per aver saputo gestire una fase storica particolarmente difficile. Di lui apprezzava la capacità di ottenere la fiducia del suo popolo, una qualità di primaria importanza per un governante e per la stabilità dello stato. Per queste sue idee, Confucio, può essere considerato il precursore di Xunzi. Il padre del confucianesimo ha anche sottolineato l’importanza di mantenere una certa distanza emotiva dalle questioni che richiedono un giudizio. Xunzi si è spinto ancora più in là, sottolineando la necessaria preponderanza della mente sul cuore. Per lui solo una mente equilibrata e perspicace è in grado di offrire una guida affidabile per la condotta umana. Il cuore al contrario non deve essere ascoltato. Questa era la differenza essenziale tra Xunzi e Mencio.

Tra i due grandi discepoli di Confucio fu probabilmente Mencio ad ottenere più proseliti tra i governanti. Le sue idee si diffusero molto nell’XI e nel XII secolo d.C. dai confuciani della dinastia Song (960-1279). Pensatori come Cheng Yi (1033–1107) e Zhu Xi (1130–1200) che tentarono di creare una nuova filosofia confuciana, più adatta ai loro tempi e meglio preparata ad affrontare le sfide della metafisica buddista, trovarono supporto nei concetti di Mencio della natura umana e della coltivazione del sé. Anche il Mencio, l’opera più importante che ci ha lasciato Mencio stesso, guadagnò un’importanza sempre crescente nelle accademie. I successori di Cheng Yi e Zhu Xi nella successiva dinastia Yuan (1206-1368) andarono oltre facendo del Mencio il testo di riferimento per la condotta politica degli uomini di potere.

Se la filosofia di Mencio ottenne sempre più favore, il pensiero di Xunzi, fu gradualmente messo da parte. I confuciani delle dinastie Song e Ming (1368-1644) lo rifiutarono perché i suoi scritti sulla natura umana mal si adattavano alla loro morale politica. Nei secoli successivi, quelli della dinastia Qing (1644-1911/12) si verificò un ritorno a Xunzi, che però non significò il sorpasso ai danni del rivale, si cominciò semplicemente ad apprezzare la sua portata intellettuale e i suoi scritti sull’apprendimento e la politica. Tuttavia, dopo la recente scoperta di testi su strisce di bambù risalenti al periodo degli Stati Combattenti Xunzi ha guadagnato maggiore attenzione da parte degli studiosi. Sembra, infatti, che molti di questi testi rinvenuti fossero vicini agli scritti di Xunzi sia nello stile che nella sostanza. Il ritrovamento di questi documenti è un evento di grandissima rilevanza culturale perché suggerisce una nuova prospettiva di quelle che sono le linee di pensiero del confucianesimo. Confucio ebbe probabilmente una più ampia varietà di eredi nella Cina antica di quanto gli studiosi avessero immaginato, molti di più di quanto i Song Confuciani avrebbero voluto credere. Probabilmente, vista la sua apertura mentale e la scarsa dogmaticità dei suoi insegnamenti, lo stesso Confucio sarebbe stato contento di questa rivelazione. Avrebbe preferito una storia più ricca e disordinata della sua eredità rispetto a qualsiasi singola linea di trasmissione.

Ciò che è stato detto finora riguarda la Cina. Sull’esempio della civiltà cinese, anche il Giappone vide una graduale affermazione nei secoli del confucianesimo. Nel VII secolo con il principe Shotoku e l’imperatore Tenji venne introdotto un drastico programma di riforme dello stato ispirate al confucianesimo. Venne istituita una burocrazia imperiale e un sistema organizzativo simile al modello cinese. Tuttavia, le nuove istituzioni fecero nascere un apparato di governo spropositato per un piccolo stato aristocratico come il Giappone, si abusò di titoli onorifici da riconoscere alla nobiltà dominante.

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Autore

Enrico Valente

Enrico Valente è nato a Torino nel 1978 dove si laurea in giurisprudenza nel 2004. Da oltre vent'anni si dedica allo studio e alla ricerca filosofica e da alcuni anni affianca la passione per la scrittura alla traduzione di saggi e romanzi. Con ”L'arte di cambiare, da bisogno a desiderio dell'altro” la sua opera di esordio, vince nel 2021 il primo premio al Concorso nazionale di filosofia ”Le figure del pensiero”, nello stesso anno riceve per la medesima opera la menzione d'onore al Premio di arti letterarie metropoli di Torino e arriva finalista al concorso di Città di Castello. Attualmente è impegnato alla preparazione di una collana intitolata ”Incontri filosofici” dedicata ai grandi protagonisti della filosofia che sta ricevendo un notevole riscontro da parte del pubblico ed è in corso di traduzione all'estero. Il suo primo numero “Il mio primo Platone” è arrivato finalista al concorso nazionale di filosofia di Certaldo (FI) 2022.

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