Ho conosciuto Redona a scuola, per l’insegnamento dell’italiano agli stranieri. Redona si è formata lungo via Corridoni. Un simpatico romano che gestiva la palestra mi spiegava le linee ferroviarie delle due Valli che si dividevano subito dopo S. Fermo: quella della Val Brembana tagliava la via Corridoni all’inizio dove era la fermata di S. Caterina – oggi ben conservata – mentre la ferrovia della Valseriana correva parallela alla stessa via Corridoni e andava a Clusone. Questa fermava al confine tra Redona e Torre, dove invece è in abbandono il casello. Le rotaie sulla via Corridoni che si vedono nelle vecchie fotografie sono del tram, per la tratta Bergamo-Albino.
A scuola veniva un pastore evangelico brasiliano, dello Stato Minas Gerais. Giudicava la nostra religione troppo ritualistica, “noi discutiamo e preghiamo, cantiamo e balliamo”. Mi invitò per un caffé a casa sua e scoprii via Montello, una stradina tra la scuola elementare e l’asilo in parte alla roggia Serio, un angolo ancor’oggi pittoresco, con il ponte ad arco fatto di pezzi di pietra, il fruscio dell’acqua che scorre. Nei paraggi c’era un castello o una torre fortificata. Più a valle, oltre il nuovo slargo davanti al Monumento ai caduti, funzionavano i Mulini Bairtsch – famiglia di origine svizzera, come i vari imprenditori nel campo del tessile venuti in Italia tra Ottocento e Novecento – dove sono sorti condomini.
Una signora colombiana di Bogotà – là, diceva, non ci sono stagioni, è sempre una tiepida estate – aveva il marito che lavorava alla Reggiani macchine. Lui mi suggerì la visita alla Reggiani tessile. L’edificio, opera dell’architetto Bergonzo, è un esempio di architettura industriale del ‘900. Portai la classe. Il Direttore ci accompagnò attraverso la lavorazione: dalla progettazione al disegno e la scelta dei tessuti, dai grandi rotoli che si snodavano fino al taglio, le cuciture, il controllo qualità, le camicie impacchettate. “Come va la moda?” “E’ matta” rispose “cambia troppo”. Qualche anno e tutto veniva smantellato.
Chiusa come la Filati Lastex, vent’anni prima, di cui si fece un gran parlare negli anni ’70. Occupazione per sei mesi, 135 operai senza lavoro, la produzione trasferita in Malesia, da dove veniva la materia prima. Il Vescovo portò la sua solidarietà. A ricordo è rimasta la ciminiera con la data di inizio, 1922.
Un francese che veniva da un sobborgo di Parigi dov’era nata l’Auchan, sapeva tutto dell’Atalanta e dell’ing. Turani. Fu presidente per tanti anni, quando la squadra vinse la Coppa Italia (1963). Senatore della Democrazia Cristiana, con i fratelli aveva una conceria di pellame, dove oggi c’è il parco a lui dedicato.
Dopo una lettura di racconti sulla ritirata di Russia dei soldati italiani mandati sul Don, mi misi in contatto con la locale sezione di alpini, accanto all’Oratorio. Era Presidente un signore che aveva fatto cinque anni di prigionia. Arrivato finalmente a vedere il confine italiano a Trieste era stato rimandato indietro per altri due anni – e furono i più tremendi – nelle carceri croate di Tito.
Redona rimase indipendente da Bergamo fino al 1927 con la sua casa municipale rimasta accanto alla Chiesa. La Chiesa nuova fu costruita agli inizi del ‘900, con la collaborazione di muratori e maestranze del posto in stile neogotico, un ritorno alla spiritualità medievale. E’ dedicata a S. Lorenzo. Fino al 1962 si portavano i morti al locale cimitero lungo un viale alberato.
Sentendo l’organo siamo entrati una volta. C’era una prova. Tra gli studenti avevo un certo Gheorghios, di Creta. Mi parlò del fratello, seminarista ortodosso di Heraklion, la capitale dell’isola. “Ha una voce spaventosa” disse; e aggiunse “per essere prete ortodosso bisogna studiare tanto musica”. Ho avuto il mondo a scuola e, attraverso la scuola, il modo di conoscere Redona.