Lo sentii nominare come luogo di funghi. Un giorno il mio vicino che era stato un gregario di Binda mi sistemò sulla canna della bici. Qualche chilometro e giungemmo a Olginate. Lasciammo la bicicletta da suoi conoscenti e affrontammo la salita, più di un’ora per arrivare alla contrada chiamata Consonno, una manciata di case, tutte raccolte e la Chiesetta dell’XI secolo. C’erano due osterie. Mi pagò una gassosa, lui prese un bicchiere di vino, poi via nel bosco. Non ricordo se fummo fortunati per i funghi, mi restò il ricordo di quell’avventura, del bosco e del paese.
Adesso quel paese non c’è più, non c’è più il cimitero costruito secondo l’editto napoleonico fuori. E’ rimasta la Chiesa e la casa a fianco, in abbandono, sulla facciata si indovina lo stemma dello Stato di Milano. Fu spazzato via dal progetto del Conte Bagno che acquistò terreni e case alla fine degli anni ’50: sognava una Las Vegas lombarda. Gli fu facile acquistarne le proprietà. La gente già stava spostandosi al piano, per essere vicina al lavoro, godere delle comodità e i figli potevano raggiungere facilmente Lecco o Milano in treno, dalla stazione di Airuno. Sembrò un’occasione da non lasciar perdere, il Conte pagava in milioni sonanti, sufficienti per acquistare la nuova casa. Il progetto era ambizioso, qualcuno lo giudicò visionario, in realtà fu temerario. Era l’idea di un Centro commerciale ante litteram, che si sarebbe affermata da noi vent’anni dopo, ma che allora trionfava in America, sempre loro più avanti di noi.
Ci sono stato oggi. Dove c’erano negozi che sembravano boutique di Milano ora non ci sono più finestre e porte; dentro ci sono cresciute le piante. C’erano giochi d’acqua con fontane a più piani in conchiglie giganti, ora tutto è soffocato dai rampicanti come i legni immersi in acqua per pescare vongole. I pali a raggiera che illuminavano la vita notturna di chi andava in balera o nei locali fino alle ore piccole, ora affiorano a stento dall’edera. Sembrano le pagode ma non ci sono più le palme o altre piante esotiche che le ornavano. A tratti si notano macchie di fiori che hanno resistito al tempo in luoghi non propri. Non mi è riuscito di vedere la vasca della piscina perché tutto è stato prudentemente cintato con reti metalliche contro incursioni vandaliche. A Consonno non c’è più la piattaforma dove si posava l’elicottero dove dovevano arrivare i vip di Milano; tutto è diventato un prato sconnesso dove neanche i cinghiali vanno a rovistare.
E’ rimasta la strada che va verso Olginate con l’arco di trionfo, i cartelli dove a malapena si leggono scritte del tipo “Consonno è il paese più bello del mondo”. Non è più percorribile in seguito a una frana. Un’altra strada vi conduce, da oggi siamo venuti, verso la Brianza da cui si spazia fino a Como, e sotto i laghi di Oggiono, Pusiano e Annone. Al culmine è chiusa da una sbarra, ma ci passano le biciclette. Ad un certo momento è apparso un ragazzino, mi è passato in parte, poi preso dalle rovine, non l’ho più visto. Il bosco è avanzato, gli alberi si sono infittiti, si fanno concorrenza, sono cresciuti a dismisura, come a volersi vendicare della profanazione perpetrata.