Un bisturi può salvare una vita, ma può anche essere usato come l’arma di un delitto. E’ semplicemente uno strumento che acquista connotazioni positive o negative in relazione all’uso che ne facciamo.
Così è anche per Facebook. Si rivela un ottimo alleato per tenersi in contatto con gli amici, per condividere interessi, per aggiornarsi oppure per pubblicizzare la propria attività o organizzazione senza sforare il bilancio. Tutte cose buone che la rivoluzione del web ha permesso. D’altro canto può essere, se non opportunamente compreso, un mezzo di autolesionismo della nostra identità e del nostro benessere, una piattaforma per veicolare truffe oppure, in casi estremi, un modo per attuare progetti criminali. E’ necessaria una maggiore consapevolezza del social network per antonomasia utilizzato, solo in Italia, da circa 25milioni di persone. In questa prospettiva “Non mi piace. Il contromanuale di Facebook: 101 cose da non fare sul social network di Zuckerberg” può essere una guida opportuna per scrollarsi di dosso le insidie di questo angolo affollato della Rete. A scriverlo è Gianluigi Bonanomi, giornalista e docente lecchese, fondatore di ClasseWeb, direttore della collana eBook “Fai da tech” e assidua presenza nelle biblioteche bergamasche (ma non solo) dove parla di nuovi media, clouding e gestione online della reputazione.
“Intendiamoci. Io amo Facebook. – chiarisce Bonanomi – Per uno che fa il mio lavoro è una possibilità eccezionale. Tuttavia buon senso, prudenza e senso del limite dovrebbero sempre accompagnarci nella gestione di un profilo. Poiché i primi a farne le spese per un uso sconsiderato siamo noi. Le librerie, virtuali e non, sono piene di manuali che spiegano come usare Facebook. Questo libro fa esattamente il contrario: elenca le cose da non fare assolutamente: dalla falsa modestia (humblebrag) ai post furbetti per catturare i like, dal propagare le catene di Sant’Antonio al pubblicare foto imbarazzanti dei figli o semplicemente sovraesponendoli con centinaia di immagini, dallo spam ai continui lamenti”.
E ancora: creare una pagina per un animale domestico, un profilo di coppia, lasciare aperta la bacheca alla possibilità che ognuno possa scrivere qualunque cosa. Adesso c’è la moda dei selfie (gli autoscatti con lo smartphone) ma non tutti sono adeguati. Si vedono cose che lasciano perplessi: ragazze in bagno con labbra a canotto, pronostici di una partita di calcio scritti sul décolleté e foto di sé oppure dell’ex senza veli. “Una sorta di vendetta per aver tagliato una relazione. E’ un fenomeno diffuso tra i ragazzi e colpisce nel 90% dei casi le donne. Non c’è da scherzare: il 47% delle vittime ha avuto pensieri suicidi e quasi la metà ha subito episodi di stalking online”. Una fotografia (nel 2013 sono state pubblicate in Facebook 240miliardi di immagini) può davvero segnare un destino.
“Se siamo alla ricerca di un lavoro, impegnati a distribuire curriculum vitae, una foto sbagliata su Facebook può mandare in fumo la possibilità di un colloquio. I dati statistici parlano chiaro. L’88% dei responsabili del personale usa i social network per indagare i candidati prima di fissare un appuntamento. Nel 55% dei casi i candidati vengono scartati, a priori, per i contenuti trovati. Quindi è meglio evitare di pubblicare foto di noi con un sorriso ebete e un boccale di birra in mano. Lo stesso vale per altri contenuti sconvenienti su politica e religione oppure postare atteggiamenti aggressivi. Parafrasando Benjamin Franklin possiamo dire che ci vogliono molti sforzi per costruirsi una buona reputazione online, ma basta una foto su Facebook per distruggerla”.
Una pratica decisamente da evitare è aggiungere troppi amici. “Accumulare amicizie come se fossero punti dell’Esselunga non ha molto senso. Perchè il numero di contatti che si possono gestire nella vita privata non è illimitato, ma è dato dal numero di Dunbar, lo scienziato che fissò a 150 amici il limite cognitivo con cui un individuo è in grado di mantenere relazioni sociali stabili. Per ultimo se una persona “amica” vi infastidisce non fatevi scrupoli ad eliminarla. Meglio un amico in meno che una maggiore dose di stress da sopportare” (Bruno Silini)
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