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Da Conversano vengono le ciliegie. In antico era Norba, nome rimasto nella tv locale Telenorba. Il centro, sul rilievo della Murgia, era abitato dai Pelasgi poi dai Peuceti infine conquistata dai Romani. Nel Medioevo prese il nome Cupersanum.

Il castello normanno sta su un’altura da cui si vede l’altro, più famoso Castel del Monte, voluto da Federico II. La gente in basso guardava su e si sentiva protetta; e stava buona. Fu degli Acquaviva. Uno della famiglia, Giulio Antonio, si trovò a Otranto nell’assalto dei Turchi, un altro fu Giangirolamo, popolare nel ‘600, detto il Guercio: per semplice strabismo o sguardo torbido? Stravagante era, per non dire di peggio, dato il suo modo di divertirsi sparando alle brocche delle donne che portavano l’acqua.  Se sbagliava, aveva l’attenuante dell’occhio storto. Barone era, signore di signori e abati, con le terre migliori e vicine, mentre il povero contadino, se non servo, doveva andar lontano per una terra arida, ore di cammino ad andare e tornare, costretto dalla famiglia numerosa. Il Guercio era riottoso al governo centrale spagnolo, ribelle fino a essere rinchiuso nelle carceri di Madrid e alla fine scagionato. Fu però mecenate e protettore delle arti e degli artisti. A lui si deve la magnifica Cappella (1660), Chiesa di S. Cosma, per la quale fece venire l’artista napoletano Paolo Finoglio che la decorò e qui si espresse al meglio, con tele di Santi incastonate in pregevoli stucchi barocchi.

Che chiesa è quest’altra?” chiedo; e mi risponde il custode,seduto fuori, intento a fare cruciverba. Dalla Chiesa della Passione finiamo alle confraternite e alla sua Confraternita dai mantelli violacei: “La gente ci conosce per la Processione dei Sacri Misteri del Venerdì Santo. Nel nostro statuto sono descritti altri compiti, quello di una vita retta anzitutto e di custodire, conservare, far conoscere le bellezze e i tesori della chiesa”.

Mi aggiro per stradine rese rosacee dal colore della pietra e dalla luce pomeridiana, solitarie e solinghe che suscitano nostalgia e ricordi per chi se n’è andato, da questi conosciute chiassose e operose, ora attraversate da turisti frettolosi. Trasmettono respiro, come oasi verdi o boschi montani, sempre inseguiti, ma spesso divorati, come onde di cavallette voraci. Di silenzio c’è bisogno, nel silenzio ci parlano pietre, muri, finestrelle, portoni, architravi, a saperle interrogare, pur macchiate da smog o profanate da insegne e fili.

San Benedetto compare sotto il magnifico campanile e l’altrettanto scenografico portale, dai quattro leoni stilofori. Ci sono volontari al banchetto, a raccogliere sottoscrizioni, offerte, suffragi, in occasione dei festeggiamenti di Sant’Anna, la nonna per antonomasia. La statua in cartapesta leccese del maestro Guacci rappresenta la giovanetta Maria, futura madre di Gesù, intenta a compitare, secondo l’aspirazione delle masse contadine e operaie che all’alba del secolo XX volevano imparare a leggere e scrivere nell’Italia che aveva il nuovo volto di nazione ma non ancora quello della democrazia.

La Chiesa è abitata da monache. “Sarebbe da visitare il chiostro, mi dicono, se le monache danno il beneplacito, anche se sono stufe di turisti e curiosi”. Un tempo erano riverite e temute perché provenivano dai ceti nobili. Venute nel Medioevo dalla Romania ebbero la prerogativa di una badessa “mitrata”, così denominata per il copricapo dell’autorità riservato ai vescovi, rara concessione nella tradizione ecclesiastica. Pare che la chiesa sia stata voluta dall’abate Mauro, discepolo di San Benedetto, raffigurato sulla tela dell’altare anche questa opera del Finoglio. L’originaria cripta preromanica subì varie trasformazioni fino all’attuale, di gusto   barocco, con le tre cupole allineate sulla navata principale. Oggi le donne sono indaffarate coi fiori; gli uomini sulle panchine della piazza a prendere il fresco.

La Cattedrale del XII secolo è un bell’esempio del Romanico pugliese. L’ingresso è scolpito con disegni da farlo apparire un merletto. L’interno è spoglio austero maestoso. La luce entra dal rosone come palla infuocata. Il tempo, gli uomini, la fortuna l’hanno preservata da invasioni o da ingiurie, anche da architetti e artisti sempre desiderosi di esperimentare e ritoccare. Un largo sorriso sul volto del sagrestano a vedere la nostra meraviglia.  


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