A Palazzago sono arrivato cercando Brocchione. E’ una delle tante contrade del paese attraversato dal torrente Borgogna che scompare prima di arrivare al Brembo. Vi passava la strada romana per Como che veniva da Bergamo, una volta superato il Brembo al Ponte della Regina.
A Brocchione la chiesa, dedicata alla Visitazione, è in stile barocco. E’ stata spostata rispetto alla vecchia che era interna al borghetto. Ha un portale anomalo, con il basamento in arenaria e le colonne di pietra granitica bianca. La particolarità è rilevata dai medaglioni sul frontone che riproducono i volti degli imperatori romani Nerone e Adriano. Probabilmente è stato preso da qualche villa della zona, come si usava in passato: ricuperare e riadattare. Così è stato fatto per l’organo Bossi ereditato dalla chiesa parrocchiale quando là fu messo quello nuovo. Il quadro dell’altare maggiore è opera del pittore di Caprino Giacomo Dolfini. La cantoria e il pulpito sono in legno dipinto, gli altari in stucco a imitazione del marmo.
L’occasione per arrivare a Brocchione è stata la manifestazione indetta dall’Amministrazione comunale dedicata agli Antichi mestieri, alla scoperta di tradizioni e di lavori quasi scomparsi.
Il fotografo di strada mi ha ricordato un lontano parente che saliva per casolari sperduti a immortalare vecchi e spose, o famiglie davanti alla casa per la foto da mandare al figlio emigrato. Venne pure nel mio asilo. Ci riprese uno per uno nel banco davanti al trenino di legno che veniva tolto dagli armadi per le grandi occasioni. Alle elementari si preferiva ognuno posare tenendo il gessetto in mano davanti alla lavagna dove la maestra aveva disegnato una pera colorata.
Il signore della nuova scatola magica ha convinto due signori a mettersi in posa. Dopo lo scatto, l’attesa. Con la mano protetta da una manica nera e infilata nella cassettina di legno di mogano sembrava mescolare degli intrugli portentosi. N’è uscito un cartoncino che ha intinto più volte nella vaschetta d’acqua. Qualcosa incominciava ad apparire, ma le figure avevano uno strano aspetto, come di fantasmi dagli occhi bianchi. C’era tempo nel frattempo per spiegare del mestiere condotto per anni, il suo piacere di incontrare facce nuove, la sua idea di portare quell’esperienza a scuola per far capire ai bambini cosa c’è voluto per arrivare agli aggeggi che sanno così bene utilizzare. Un’occhiata all’orologio appoggiato sopra e oplà! come un giocatore di scopa ha estratto la sua carta strappando ancora una volta la meraviglia dei presenti.
Nel vecchio fienile ho assistito ad una lezione sulle api dietro lo schermo dei bambini come sempre curiosi. La signora ha spiegato delle cellette esagonali così ben allineate dove le laboriose operaie vanno avanti e indietro a riporre il miele. Sono di cera, altro prodotto delle api che l’apicultore favorisce apprestando telaietti che le api dovranno completare, con risparmio di energia e di tempo. Una volta riempite le api le sigillano per preservarle da degrado e da infestazioni. Verranno buone nei tempi di scarsità come quest’anno che ancora a maggio, complice il cattivo tempo, non si vedevano fiori in giro. Hanno provveduto gli apicultori, con le scorte fatte, altrimenti ci sarebbe stata la falcidia degli sciami.
In quella che doveva essere la cucina contadina ho trovato il signore dei modellini, un campionario di carrozze dell’Ottocento. Ogni modello ha richiesto una scrupolosa documentazione, la stesura del disegno, la giusta campionatura dei materiali. Sono carrozze variegate ed evolute rispetto a quelle che usavano regnanti o signori d’ alta nobiltà. Diventavano accessibili anche alle classi medie, quelle dei medici o dei commercianti, di nobilucci di campagna e reverendi. Erano fornite di ammortizzatori e lanterne, di clacson e capote. C’erano quelle da trasporto veloce e quelle per lunghi viaggi, quelle che si adattavano alle signore in abiti da sera e quelle più sportive, per la caccia con l’apposita cassetta dove riporre la selvaggina.
Le bancherelle erano molte, sistemate ai piani alti magari salendo per scale di legno, in piazzetta o sul ballatoio, ognuno con la propria sorpresa: il lavoro da certosino – come se non bastasse la fantasia – del disegnatore piegato a tratteggiare mediante penne e matite ombre, penombre e sfumati di suggestivi edifici; la manifattura di incisione e di sbalzo del fabbro che si è riciclato, lavorando su fogli di rame o alluminio con punteruoli e scalpelli, per l’incavo che una volta rovesciato fa apparire il rilievo. E ancora lo scultore del legno, le donne dell’impasto per le tagliatelle, il collezionista di vecchie radio e dei componenti originali tipo valvole, relè, spinette, lampadine, manopole, resistenze, condensatori.
E ho trovato il motivo per tornare a Palazzago: il Museo d’arte sacra realizzato nel campanile.
Link utili:
Comune di Palazzago
Mangiare a Palazzago
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