Il poeta latino Caio Igino narra della dea Cura che attraversando un fiume e vedendo della creta si mette a modellarla. Interviene Giove che ha il potere di infonderle lo spirito. I due poi discutono sul nome da dare. Interviene la dea Terra che reclama il suo diritto, dato che sua è la materia. Saturno, chiamato a dare il suo parere così sentenzia: a Giove lo spirito tornerà dopo morte così come il corpo alla dea Terra, in vita sarà Cura a possedere la creatura e homo sarà detto perché tratto da humus. La favola è riscoperta da Heidegger secondo una sua chiave interpretativa. L’inquietudine accompagna la vita dell’uomo (Dasein). La cura (Sorge) è la sua modalità di vivere: come essere fragile ed esposto ha bisogno delle cose (Besorgen) e la cura deve essere il suo atteggiamento verso le cose e gli altri (Fürsorge).
Noi viviamo in una cultura della terapia: ogni disagio è inteso come male da riparare, anche per il normale evolvere della vita, dalla mestruazione all’invecchiamento. Prigionieri delle nostre incapacità. La pandemia mette in luce le crepe del nostro benessere, interconnessi ma senza solidarietà (Edgar Morin, Cambiamo strada). Preoccupati del corpo manchiamo nella cura dell’anima: “Non dovresti curare gli occhi senza curare la testa, la testa senza curare il corpo. Così anche non dovresti curare il corpo senza curare l’anima” (Platone, Carmide).
La cura che previene e fa fiorire è il dialogo. Ancora Socrate (Apologia): “Finché avrò respiro non smetterò di far filosofia dicendo ciò che sempre vado ripetendo. Perché darti cura delle ricchezze e fama e onori e non invece della saggezza e della verità?” “Non me ne andrò ma continuerò a interrogare, a esaminare, a confutare; lo farò con chiunque, giovane o anziano, straniero o cittadino”. Abbiamo bisogno di confronti lucidi, sereni, pacati, che sappiano andare oltre i facili slogan o gli interessi del momento, che promuovano fiducia nelle proprie e altrui possibilità, capaci di tener conto delle emozioni e non di esserne travolti”. E’ sorprendente e consolante che in tempo di pandemia si siano moltiplicati incontri e confronti che hanno imitato questo modello educativo già prospettato dai filosofi greci. Fu, e lo è ancora, vera scuola di democrazia.
Nel famoso dipinto della Scuola di Atene Alcibiade è mostrato in dialogo con Socrate. E’ giovane, elegante, con elmo e corazza, sul punto di entrare nell’agone politico che per lui avrà una conclusione tragica. Sembra di sentire gli ammonimenti di Socrate: “Chi non conosce le cose che a lui appartengono non può conoscere neppure quelle che appartengono ad altri”. “Così il politico o l’amministratore della casa incorrerà in errori e agirà male” (Platone, Alcibiade). Non ci si prende cura degli altri se prima non si ha cura di se stessi.
Non basta. Occorre tendere alla verità. Alla fine dopo tanta fatica si perviene alla conoscenza (nòesis), all’illuminazione, al momento speciale della comprensione. Lo dice Platone nella VII Lettera che è anche il suo testamento spirituale: “Dopo molte discussioni, con fatica sfregando nomi, definizioni, visioni, sensazioni, confronti benevoli, in domande e risposte, d’improvviso, come luce che si accenda allo scoccare di una scintilla, nasce dall’anima e risplende quella conoscenza e comprensione della realtà al massimo possibile, cui tende la capacità dell’uomo”. Non è possibile senza una vera comunanza di vita, è invece accessibile attraverso il dialogo e la condivisione. Non il virus dobbiamo temere ma l’assenza di questa comune tensione morale.
A cura di Mauro Malighetti (sintesi di una lezione di Linda Napolitano (Professoressa ordinaria di Storia della Filosofia antica) Cura socratica di sé come esercizio di libertà e benessere della polis, del 2 marzo 2021 nell’ambito della programmazione di Noesis).
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