C’è una diversa percezione della natura al di fuori della tradizione occidentale come tra i popoli della colonizzazione spagnola, Incas e Aztechi. Si parla di thauma, stupore, ma in senso negativo. Noi siamo portati a guardare la natura con gli occhi del Romanticismo, qualcosa di bello da godere esteticamente come un tramonto. Presso quei popoli è invece qualcosa di minaccioso e inquietante, che sfugge al controllo dell’uomo. Gli dei Aztechi, ad esempio, non hanno sembianze umane, ma un aspetto tra l’animale e il mostro atto a suscitare paura. L’uomo si sente in balia di forze misteriose e soverchianti, oppressi da un mondo sconosciuto, come il caos del dio greco Pan. La natura più che madre è matrigna che va placata con pratiche magiche, o talvolta rituali inumani e orripilanti ai nostri occhi come apparvero a Cortez e ai suoi uomini gli innumerevoli sacrifici umani fatti per l’inaugurazione del Tempio del sole a Tenochtitlàn.
All’opposto ci ha condotto la nostra cultura, a praticare un dominio sconsiderato della natura che finisce per ripercuotersi su noi stessi. La natura si ribella e fa disastri, la terra da giardino dell’Eden diventa luogo dove si scatenano forze infernali. La pestilenza che colpì Napoli ai primi del 1600 falcidiò l’80 per cento della popolazione. Dice un proverbio spagnolo: “Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai”.
Occorre trovare un diverso e più equilibrato atteggiamento. Nella Bibbia la natura non è vista a sé, come sembra di percepire da certi spot pubblicitari. Nella Bibbia la natura rimanda a Dio, il creato parla del creatore: “I cieli nominano la gloria di Dio/ l’opera delle sue mani annuncia il firmamento/ il giorno al giorno ne affida il racconto/ e la notte alla notte ne trasmette notizia” (Salmo 18).
La natura nella Bibbia ha una valenza simbolica. Noi uomini di scienza e del calcolo l’abbiamo persa. L’hanno ancora tale valenza quei popoli per certi versi legati ad un mondo arcaico, come i campesinos della Bolivia, propensi a rincorrere nelle parole altri significati o emozioni. Il discorso non è solo operazione razionalizzante. La realtà non ha una faccia sola che si misura e quantifica, ma è qualcosa da godere o temere, da conoscere e contemplare. Il campesinos vuole la sua chiesa “ma che sia bella!” come l’ambiente che l’accoglie, perché in una bella chiesa si sente veramente figlio dell’unico Padre.
“Se guardo il cielo opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissate, che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo perché te ne ricordi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore l’hai coronato.” (Salmo 8)
Non si salva il mondo senza l’uomo. Si redime il mondorestituendo agli uomini la loro dignità. Il discorso ecologico passa di qui, altrimenti si perde la scala dei valori. Anche l’uomo più scombinato conserva qualcosa della bellezza che Dio ha messo in ogni persona e questa bellezza va ricuperata e lasciata esprimere.
Come Ousman del Gambia che ha ventun anni e con soddisfazione racconta: “ho mandato gli ultimi soldi per la casa”. Lui ha costruito la casa per tutta la famiglia e ha acquistato consapevolezza della sua dignità.
Il dare dignità deve essere il lavoro della comunità e delle sue istituzioni, una fatica interminabile ma dà i suoi frutti. In Bolivia come in Italia. Al Patronato S. Vincenzo l’85% degli stranieri ospiti hanno un lavoro, retribuito e riconosciuto. Appaiono scalcinati certe volte e in certi luoghi, ma molti di loro oggi possono andare a testa alta.
La fede sta nel rispondere al compito che Dio affida all’uomo, responsabile di sé e del mondo, l’uomo al centro della creazione che parla di Dio. Richiede un agire concreto, un dare testimonianza.
Quale testimonianza più alta della propria vita? Così fece Dietrich Bonhoeffer, impiccato a pochi giorni della fine della guerra, che scriveva: “Sentivo dal carcere cantare nella chiesa vicina. Ogni giorno la comunità canta e io non posso tacere, io che ho ricevuto misericordia anche quando ho chiuso il mio cuore a Te, Signore, e ho amato le mie colpe più di quanto amassi Te” “Quando ero smarrito e incapace di trovare la via del ritorno è stata la parola del Signore a venirmi incontro. Ho capito che Dio mi ama, Lui mi è stato vicino, non mi ha incolpato del male che ho fatto. Da nemico mi ha trattato da amico, mi ha cercato incessantemente senza rancore, ha sofferto per me, è morto per me. Mi ha vinto”.
Ecco lo stupore della fede.
Sintesi di Mauro Malighetti della lezione di don Davide Rota del Patronato San Vincenzo di Bergamo (14 dicembre 2021) nell’ambito della programmazione di Noesis