“Ol Preóst sant”, il prevosto santo. Un appellativo che pone don Giovanni Antonio Rubbi, prete del Settecento bergamasco, nativo di Zogno (località Padronecco) nel 1693, nella cerchia dell’agiografia popolare sempre in anticipo rispetto a quella ufficiale. Sorisole, la sua ultima parrocchia (dopo Monte di Nese lasciata nel 1740), conserva i segni di “una figura di sacerdote e parroco – sono parole di monsignor Clemente Gaddi, compianto vescovo di Bergamo – notevole per santità di vita e per zelo apostolico, degna espressione di tutta una generazione di preti bergamaschi che nel 1700 hanno contribuito in modo determinante all’edificazione cristiana del nostro popolo”. In paese, oltre alla tomba posta nella chiesa prepositurale di San Pietro, troviamo una via nel centro storico, una statua sul sagrato di Petosino (restaurata per rimediare all’effetto groviera profuso dal tempo) e tutta una sequela di dipinti che raffigurano il volto “scarnato e sparuto, tante volte con lunga barba…” di un prete la cui fama varcò i confini di un’Italia ancora da fare tant’è che un ex gesuita, lo spagnolo Pedro Montengón y Paret (1745-1824), lo cita nella sua opera pedagogica intitolata “El Eusebio”.
Tre appuntamenti in occasione dei 232 anni dalla morte
Dal 2010 c’è anche un Centro studi e un museo che curano la memoria del “Preóst sant” diretti da Luigi Roffia. Per ricordare il 232esimo anniversario della morte la Parrocchia (retta don Stefano Ravasio) e il vicariato locale hanno organizzato tre appuntamenti per non dimenticare una figura di sacerdote che plasmò la sua vita verso una perfezione spirituale intesa come punto inderogabile per l’efficacia del ministero. Si parte mercoledì 22 febbraio alle 18 nella sede dell’Associazione Pensionati di Sorisole. Lo stesso Roffia terrà una conferenza dal titolo: “Don Rubbi e Sorisole. Ieri, oggi e domani”. Si ripercorreranno i tratti salienti dell’epoca di don Rubbi, dominata (almeno per Bergamo) dalla Serenissima Repubblica di Venezia, dove la forbice sociale, assai divaricata, vedeva gli strati popolari agitarsi nell’estrema miseria e un’élite, d’altro canto, assiepata negli agi di una sfarzosa ricchezza. Un appunto necessario per spiegare l’azione di un sacerdote che assumeva in se il mandato del “sustentamento” spirituale con la cura corporale visto che i medici fatti e finiti era costume che giungessero solo nelle case dei signori. E si vedeva Don Rubbi aggirarsi tra le casupole dei suoi parrocchiani infermi, non badando “né a ghiacci né a nevi, né alla sua stanchezza, quando ha lavorato tutto il giorno“. Alla forza spirituale, don Rubbi aggiungeva virtù taumaturgiche che aizzavano l’ostracismo di insigni dottori che perdevano clienti su clienti attratti dalla canonica rispetto all’ambulatorio.
Anche i ricchi ricorrevano a don Rubbi
Scrive Cesare Persiani nella ristampa del 1971 della biografia di Don Rubbi stesa nel 1857 da don Giovanni Suardi. “Succede così che, man mano, anche i nobili cominciano a ricorrere a Lui, né ad essi, abituati a valutare i medici in proporzione ai loro onorari, fa più specie che quest’uomo rifiuti le ricompense dirette alla sua persona fino a proibire ai suoi domestici, comeché poverissimi, di accettare da chicchessia il minimo regalo”. Don Rubbi guariva senza nemmeno volerlo, o, per lo meno, senza volerlo sempre, come per soprannaturale virtù. La riconoscenza, rifuggita dal Rubbi, “rientrava” nella bella chiesa prepositurale. Come il pulpito dei fratelli Caniana del 1750, gli stalli del coro e gli armadi della sacrestia attribuiti a Giovanni Sanz (protetto del Fantoni) e la pianeta per il tempo ordinario di seta purissima donata dall’Arciduchessa d’Austria Maria Amalia per grazia ricevuta. Accanto alle qualità taumaturgiche Don Rubbi spiccava per lo zelo pastorale e la fede solida come il Canto Alto che scorgeva dalla porta di casa. “Non è credibile – riferiva il vicario generale al vescovo Redetti – la diligenza di lui nelle incombenze parrocchiali, sia per sapere e rimediare ai disordini con imperturbabile costanza di spirito, sia nell’udire le confessioni, sia nel predicare la divina parola”. Così si esprimeva il suo successore, don Gianmmaria Tiraboschi, nella relazione in latino vergata tre giorni dopo la morte di Don Rubbi avvenuta il 15 marzo 1785. “Fino agli estremi del suo vivere tenne fermo nella pratica di celebrare la santa Messa all’alba. Brevissimo e disagiato era il suo sonno che interrompea, levandosi sempre, qualora non ne fosse da grave malattia impedito, alla mezzanotte per recitare a Dio le lodi mattutine”.
Chiusura degli appuntamenti con il vescovo di Vigevano
Gli appuntamenti per celebrare la memoria Preóst sant del riprendono il 2 marzo (ore 20.30) al cine-teatro “Don Rubbi” con un incontro (“Fra Cecilio e Don Rubbi, uomini di Dio nella carità”) con i frati minori cappuccini della curia provinciale di via Piave a Milano. Parleranno del rapporto tra don Rubbi e Fra Cecilio, fondatore della mensa dei poveri dei padri cappuccini per il quale è in corso il processo di beatificazione. Le giornate di ricordo termineranno il 15 marzo (20.30) con la solenne concelebrazione eucaristica, nella chiesa parrocchiale, presieduta da monsignor Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano. (Bruno Silini)
VIDEO: Sagrato del Settencento a Sorisole, 26 giugno 2010
[paypal_donation_button]