A causa del coronavirus quasi tutto il mondo si è fermato, è andato in lockdown. Così l’economia si è fermata e i dati economici sono calcolati al ribasso: meno produzione industriale e agricola, meno posti di lavoro, meno soldi. Questo, perlomeno, è quanto stanno vedendo, anche perché si aspettano di vederlo, gli economisti. Dopo le guerre e le crisi, però, le economie di ogni parte del mondo hanno avuto la tendenza a rimbalzare, con miglioramenti spettacolari.
Uno studio in proposito lo ha pubblicato sul dorso economico del Corriere della Sera (cartaceo dello scorso 30 marzo) Francesco Daveri, basandosi su dati del 2008 di Angus Maddison, uno storico dell’economia. Il primo caso preso in esame è quello della II guerra mondiale. Tra il 1939 e il 1945, nel pieno di bombardamenti distruttivi, il Pil, Prodotto interno lordo dell’Europa occidentale diminuì del 18%. Nel 1952 era cresciuto al punto da superare la vecchia soglia del 15%. In Italia, in particolare, il Pil del periodo di guerra scese del 44% per poi crescere del 118% negli anni successivi – ce lo si ricorda ancora come «boom economico». Un altro caso di guerra preso in esame è quello dell’Iraq, che di guerre tra il 1991 e il 2004 ne subì due. Nel corso della prima, nota come guerra del Golfo iniziata nel 1991, il Pil iracheno praticamente si dimezzò perdendo il 56,4%; nei due anni successivi però recuperò tutte le perdite e anzi ebbe un miglioramento percentuale in doppia cifra. Nel 2003 ci fu poi l’intervento degli Usa e degli alleati europei contro Saddam Hussein, e il Pil iracheno ebbe un altro tracollo del 33,1% – recuperato però tutto e aumentato in doppia cifra percentuale già nel 2004.
Un altro caso analizzato da Daveri è quello di Haiti. Qui non si tratta di una guerra bensì del terremoto del 2010, dalle conseguenze distruttive. Quell’anno il Pil dell’isola diminuì del 5,5% ma nel 2012 aveva già recuperato le perdite e superato i precedenti livelli.
In tutti questi casi a sostenere la ripresa furono soldi provenienti dall’estero, il cui primo utilizzo fu la ricostruzione fisica di ciò che era andato distrutto tra edifici, con nuovi insediamenti industriali oltre alle abitazioni, e autostrade dove prima non ce n’erano. Per l’Europa del dopoguerra fu il Piano Marshall, per l’Iraq e Haiti sono stati aiuti di vario tipo provenienti dall’estero – che per Haiti hanno raggiunto un valore del 20% del Pil nazionale.
Potrebbe essere possibile un intervento del genere, oggi? Diversi personaggi politici, tra cui il primo ministro Giuseppe Conte, hanno definito «guerra» la crisi provocata dal coronavirus. E in effetti qualcosa di simile a una guerra è, soprattutto per il fatto che sta provocando decine di migliaia di morti in tutto il mondo. Mancano però le distruzioni fisiche, i bombardamenti, o i crolli dovuti ai terremoti. Il «dopo» non potrà dunque essere una ricostruzione in senso stretto. Va inoltre considerato che il coronavirus è un fenomeno mondiale – e che l’economia mondiale degli ultimi decenni è stata sempre in crescita, nel suo complesso, anche nel pieno di crisi finanziarie come quella del 2008 (qualche info la si può trovare sul sito web Reconomics). Alcune nazioni sono state colpite duramente, con gli Usa che hanno perso Lehman Brothers, uno dei loro pilastri finanziari. Molta parte del resto del mondo, però, ha continuato ad andare avanti.
I soldi, a quanto pare, ci sono. Soprattutto se si capisce come usarli bene.