Nelle nostre parrocchie la festa della Madonna del Rosario è rimasta la celebrazione più importante dopo il Natale e la Pasqua. Fu istituita all’indomani della battaglia di Lepanto, un evento vissuto dalla cristianità come epocale. Fu salutata come la cessazione delle incursioni piratesche, la fine dell’espansionismo ottomano, il trionfo della fede cristiana sulla religione di Maometto, la superiorità tecnologica dell’Occidente. Era pure la risposta – o vendetta – di Venezia all’oltraggio di Famagosta, quando la guarnigione veneta fu trucidata e il comandante, Marcantonio Bragadin, venne scorticato vivo sulla piazza. Così abbiamo appreso fin dalle elementari una data da ricordare, il 7 ottobre 1571, come la scoperta dell’America, la caduta dell’impero Romano o la Rivoluzione Francese.
Oggi prestiamo più orecchi agli storici i quali ci invitano alla cautela. Il discrimine tra fedeli e infedeli non fu così netto; c’erano greci, italiani, spagnoli, magari come rinnegati, in ambo le parti. A capo dell’ala sinistra dello schieramento era Uluj Alì, un calabrese, che divenne successivamente capo dell’intera flotta ottomana. Da parte turca più che una disfatta definitiva fu visto come un episodio negativo che non cancellava i successi precedenti come la presa di Cipro. Pur rappresentando uno scontro eccezionale, non chiuse la partita e il conflitto sarebbe continuato con alterne vicende per un centinaio di anni.
L’andamento della battaglia fu favorito dalle possenti galeazze che Don Guan de Austria, ammiraglio della flotta cristiana, schierò davanti. I veneziani le avevano attrezzate con 42 cannoni disposti a prua, a poppa e sui fianchi, che produssero subito scompiglio nella flotta turca. Un’innovazione che rivelò la superiorità tecnica dell’Occidente cristiano.
Ma la battaglia fu vinta in fase di preparazione, come è stato ben spiegato al IV Convegno tenutosi sabato 3 ottobre anche quest’anno al Castello di Urgnano, per celebrare l’evento. Organizzato dall’Associazione Promo Urgnano aveva come titolo Salodiani a Lepanto. Attorno a quello sforzo di preparazione che coinvolse le valli bresciane e soprattutto la Val Sabbia, facente capo a Salò, sul Garda, si è soffermata la relazione condotta da Pietro Padavini e Emanuele Marini.
Quando la Serenissima lanciò l’appello per allestire la risposta all’aggressione saracena nel Mediterraneo, Brescia rispose mettendo in campo più di mille uomini. Si trattò di reclutare, addestrare, armare, organizzare, distinguere compiti, rifornire e far arrivare a destinazione uomini che non erano per lo più professionisti della guerra. Limitiamoci ai 100 che furono reclutati nella Val Sabbia e nelle zone adiacenti a Salò. L’operazione partì in pieno inverno del 1571. Si nominò il comandante, Giuseppe Mazzoleni, che prevalse di un voto tra i vari candidati scelti tra le famiglie nobili del luogo. A lui si garantì la paga di 80 ducati, mentre al semplice fante la paga era di 3 ducati.
Alle spese contribuirono i paesi e le famiglie abbienti del luogo. Bisognava fornire armi bianche e bocche di fuoco, elmetti (morione), corsaletti (anteriore e posteriore), spadoni e spade corte (coltelle), fiaschette e polvere da sparo, archibugi e moschetti, picche, daghe, scudi (rotelle). Si procedette all’addestramento frettoloso nei vari campi di raccolta, istruendo i militi sulle tattiche di assalto e difesa in mare. C’erano anche i rematori, i galeotti; Brescia ne fornì 332, reclutati tra i prigionieri, con la promessa della libertà, altri furono volontari stipendiati. Le valli bresciane avevano una collaudata industria armiera. Tra questa c’erano già nomi di famiglie che si sarebbero distinte in seguito nella lavorazione del ferro e nella fabbricazione di armi, tra cui i Beretta. La Serenissima diede ordine che si lavorasse ininterrottamente in giorni festivi e feriali.
Partirono da Venezia il 22 luglio. Il 7 ottobre verso mezzogiorno lo scontro. I salodiani erano imbarcati sulle galee 51 e 36, sul fronte destro dello schieramento. La notizia della vittoria fu accolta con segni di giubilo, processioni, cerimonie, falò, luminarie e distribuzione di pane ai poveri. Settecento ritornarono; gli altri, considerati morti o felidi (disertori). I vincitori furono entusiasticamente accolti nel Duomo di Salò dove si può ancora vedere la tela con Madonna con Angelo, S. Marco e S. Giustina con uno scorcio della battaglia. La Serenissima fece dono di sei candelabri bronzei per l’altare maggiore con la fusione di un cannone della battaglia. Davanti al Duomo si può leggere una targa ricordo. Vicino si può percorrere un vicolo che ancora porta il nome del comandante Mazzoleni. Il Papa Pio V istituì la Festa del Rosario e aggiunse un nuovo titolo mariano, Auxilium Christianorum, aiuto dei Cristiani.
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