Chi ha anticipato, anche di molti lustri, la generazione dei millennials, ricorderà come quasi ogni giorno sulle pagine culturali di tutti i quotidiani, uno spazio considerevole era riservato alla critica e alle stroncature musicali. Dove per musicale s’intendeva musica classica. Ogni giornale, locale o nazionale, aveva in redazione almeno due critici musicali che seguivano tutti i concerti della città (e anche quelli importanti della provincia). Per cui quasi tutti i giorni vi compariva la “critica” che era seguita non solo dagli addetti ai lavori e non raramente creava dibattiti e fazioni fra gli appassionati. Non di rado apparivano anche stroncature che, a loro volta, accendevano discussioni tra i fans di questo o quel musicista, solista o gruppo che fosse.
I critici musicali sono praticamente scomparsi ad eccezione delle riviste e periodici specialistici (vedi Amadeus, Classic Voice, Musica) e, parzialmente dei quotidiani locali dove almeno i concerti importanti vengono ancora recensiti adeguatamente. Quasi nulla sui nazionali. Ma soprattutto sono scomparse le stroncature musicali, che avevano il coraggio di mettere in discussione anche il grande artista quando non era all’altezza di un’interpretazione. Ricordo le critiche di Piero Rattalino (da sempre consulente del Festival Pianistico) che, con competenza, ardivano mettere in discussione persino un “dio” del pianoforte come Arturo Benedetti Michelangeli, notando addirittura il numero della battuta di uno spartito di Chopin piuttosto che Debussy! Veramente cose d’altri tempi.
E ricordo anche una delle ultime feroci stroncature apparse sul Corriere della Sera qualche anno fa a firma di Paolo Isotta (forse il miglior critico musicale italiano) per un concerto scaligero affidato alla bacchetta di una star emergente del podio (più raccomandata che meritevole) come Daniel Harding. La recensione iniziava più o meno testualmente così:” Nemmeno uno studente di Conservatorio al quinto anno di composizione avrebbe diretto l’orchestra peggio di così.” Per inciso quella recensione costò a Isotta l’esclusione dalla Scala su esplicita richiesta della direzione del Teatro.