Per scelta precisa nel precedente articolo del 22 agosto relativo alla discutibile quanto inopportuna scelta di far inaugurare la prossima stagione lirica nel rinnovato teatro DONIZETTI a Placido Domingo, avevamo taciuto delle denunce per molestie sessuali da parte di diverse cantanti che avevano avuto a che fare professionalmente con lui. Invece avevamo puntato il dito sull’insostenibile leggerezza della forma (eufemismo) da parte della Fondazione Donizetti che dimostrava di saltare a piè pari esigenze prettamente artistiche e musicali per seguire una mentalità meno culturale e più “videocratica” che accomuna sia il direttore artistico Francesco Micheli (per i suoi legami televisivi) sia il capo dell’amministrazione Giorgio Gori (per i suoi trascorsi Mediaset).
Mania che ha portato le programmazioni liriche loro affidate in questi ultimi anni a una sorta di caleidoscopio catodico con le consuete, facili ancorché vantaggiose implicazioni: eventi gratuiti per dettare la legge dei grandi numeri oltre che del gratuito consenso, affabulazioni sapientemente orchestrate e informazioni autoreferenziali senza possibilità di contraddittorio per far apparire tutto riuscito, originale, nuovo.
Tra parentesi vorrei segnalare che le stagioni liriche e i vari festival donizettiani susseguitisi dal Dopoguerra ad oggi nella nostra città hanno fatto sempre gli stessi (con poche variazioni) numeri e consensi: 4 – 5 opere in cartellone (con 2 rappresentazioni rispettive); teatro più o meno sempre pieno (i posti quelli sono: intorno ai mille, a seconda delle varie misure di sicurezza); pullman di melomani dalla Svizzera e poche altre nazioni limitrofe oltre ai soliti “turisti” giapponesi; regie con nomi a volte di assoluto prestigio artistico sia di profilo nazionale che internazionale e cast vocali allo stesso livello di quelli attuali (anzi meno ripetitivi). Basta consultare gli archivi.
Il movimento femminile “Non una di meno Bergamo” infatti ha inviato a Micheli e Fondazione una lettera con esplicito invito a pubblico dibattito: “Sappiamo – scrivono con illuminata interlocuzione – che nessun tribunale ha indagato Domingo ma questo non modifica la situazione. I cartelloni dei principali teatri americani ed europei hanno cancellato i suoi spettacoli, invece la sua attività prosegue in Italia. Domingo arriverà a Bergamo a una settimana dalla giornata internazionale contro la violenza di genere“.
Proseguendo, invitano pertanto la Fondazione a tornare sui suoi passi definendo opportunamente “una nota stonata” la presenza del tenore (o baritono? Chi può dirlo?) spagnolo. Dopo alcuni giorni è arrivata la risposta di Micheli (ancora una volta silenzio assordante dalla Fondazione). Vale la pena di leggerla insieme per la sua molto discutibile esegesi: “Anche io come voi ho a cuore la lotta per l’uguaglianza delle donne. In fondo ho scelto di vivere nel mondo dell’opera perché per la stragrande maggioranza i compositori hanno parlato di donne cui è stata negata libertà e dignità come è accaduto con Sylvia, la protagonista de “L’ange de Nisida”. Il progetto di eseguire l’opera “Belisario” di Donizetti con Placido Domingo è nato nell’autunno 2018. Quando nell’agosto 2019 è stato pubblicato l’articolo dell ‘Associated Press sulla condotta dell’artista spagnolo, sono state aperte due inchieste interne private (della Los Angeles Opera
e del sindacato Agma) che si sono concluse e non hanno riportato evidenza di abusi, né tanto meno abuso di potere. Il maestro Domingo non è mai stato sottoposto a indagini, a processo da nessun tribunale o altro organo inquirente istituzionale per nessun capo d’accusa. Nessuna delle accuse di molestie sessuali è stata supporta da prove e/o evidenze concrete nè da denunce ufficiali: si tratta di dichiarazioni in gran parte anonime. A seguito dell’articolo di AP si è invece diffusa, sui mezzi di comunicazione, una condanna inflessibile e priva di argomenti che mi inquietano molto“.
La risposta integrale di Francesco Micheli