Sono trascorsi 71 anni da quelle «giornate di sangue», come le definì l’allora parroco di Petosino, don Giacomo Carrara, nel suo Chronicon. Parliamo di una delle pagine più cruente della storia della Resistenza a Bergamo, avvenuta nel settembre del 1944, conosciuta come l’eccidio di Petosino. Tutti gli anni se ne onora la memoria con una partecipazione di cittadini e un corredo di appuntamenti sempre più ampio che di fatto accantonano quelle scaramucce del passato tra Comuni limitrofi divisi tra i fautori dell’obbligo morale della memoria storica e i detrattori dell’appuntamento considerato come forma di strumentalizzazione ideologica. Pensiamo solo all’organizzazione del 60esimo anniversario quando Valbrembo si chiamò fuori sostenendo che “la presenza di una rappresentanza comunale a questo tipo di manifestazioni andava al di là dell’ambito amministrativo”. Tornando alla ricostruzione dell’eccidio la strada principale di Petosino, via Martiri della Libertà, ne raccoglie la tragica memoria. Una lapide, posta all’esterno della cancellata della scuola materna ricorda le vittime: Mario Capelli, Virginio Bonadeni, Luciano Tironi (il più giovane con i suoi 19 anni), Giuseppe Signori, Tranquillo Milesi, Carlo e Giovanni Mazzola, Francesco Roncelli, Albino Locatelli e Giuseppe Piazzalunga. Dieci uomini che hanno pagato con la vita l’ideale patriottico di riscattare l’Italia dall’oppressione del nazifascismo. L’episodio appare, seppur con sfumature diverse, in tutti gli scritti che ricostruiscono quegli anni. Il gruppo partigiano delle Fiamme Verdi, formazione di Valbrembo della Brigata «Fratelli Calvi», comandato dal curato di Villa d’Almè, don Antonio Milesi (nome di battaglia Dami), dispose un colpo di mano contro Villa Masnada di Curdomo (oggi Mozzo), controllata dai tedeschi, per procurarsi armi e equipaggiamenti.
La villa era utilizzata dalle forze armate tedesche come caserma di un distaccamento di genieri che ogni mattina si recavano alle Officine Caproni di Ponte San Pietro per controllare la produzione bellica dello stabilimento aeronautico. Dopo una notte di appostamento in attesa di un segnale convenuto il 26 settembre 1944 alle 6 del mattino entravano in azione i partigiani del «Dami» e i compagni arrivati dai «Morcc di spiass» (Morti degli Spiazzi) di Paladina. In tutto una ventina. Il comandante Giovanni Leardini (detto Sandro), ufficiale effettivo degli Alpini che affiancava il Dami come consulente militare, scrisse che l’azione doveva essere incruenta e che lo scopo non era il combattimento, ma solo un atto logistico per venire in possesso dei materiali indispensabili alla formazione per affrontare un nuovo inverno in montagna. Contavano di trasportare il materiale a bordo di un camion che d’abitudine restava libero all’interno di Villa Masnada quando il più dei tedeschi era fuori. Ma il camion era sparito cosicché si decise di caricare in spalla le armi prendendo la via del bosco per rimanere il più nascosti possibile. Nel frattempo, però, la zona era stata circondata dai nazifasciti al comando del “famigerato” Resmini avvertito dell’azione. Durante il combattimento persero la vita cinque Fiamme Verdi. Altre tre furono fucilate all’ex stazione dei treni di Petosino. Anche un civile Giuseppe Piazzalunga, che osò esprimere sdegno per quanto successo, fu ucciso a bruciapelo. Una metà dei partigiani riuscì a sottrarsi all’imboscata mescolandosi agli operai che in quel momento uscivano dal Gres. Un altro partigiano, Albino Locatelli, fu catturato e ucciso dopo pochi giorni. Il suo corpo non fu mai più ritrovato.