In una recente indagine il 62% dei Millennial ha ammesso che la presenza di piante, all’interno della propria abitazione, è stato fondamentale per affrontare, nel modo più positivo possibile, le condizioni restrittive legate alla pandemia. Il giardinaggio in casa è emerso come una nuova tendenza da tenere monitorata perché si sta imponendo come un vero e proprio stile di vita. Tuttavia questa nuova pratica green non è una novità totalmente inaspettata se consideriamo il rinascimento culturale degli ultimi anni, caratterizzato da un grande interesse per il mondo vegetale a partire dalle scelte legate a cià che mettiamo in tavola.
L’alimentazione è, però, solo uno degli aspetti di questo trend visto che la crescente domanda da parte dei consumatori comprende, per esempio, l’offerta di programmi TV, sempre più green, nonché gusti in fatto di arredamento. Si tratta di una sensibilità che si è consolidata in paesi come Scandinavia, Stati Uniti e Francia. Tuttavia anche l’Italia la prospettiva si fa interessante. Chiediamo così ad un esperto del settore come Lucio Brignoli, Founder e Ceo di Briane srl, di aiutarci a capire meglio questo fenomeno:
Come si è evoluta negli ultimi anni, anche nella nostra provincia, questa attenzione alle tematiche “green”?
Il green è al centro dell’attenzione, per tanti motivi. Alcuni oggettivi, altri emozionali. Il rischio è che anche questa tendenza, come altre nel passato, resti una moda e, in quanto tale, passeggera. Ci sono dei motivi oggettivi che spingono al ritorno, bada bene ritorno, al richiamo verso i cicli naturali. Esaurita la spinta positivista, resisi conto dell’estrema complessità del mondo, fisico sociale o economico, la ricerca di un nuovo equilibrio porta al modello migliore che abbiamo di fronte agli occhi: la natura o il creato, per i credenti. La Bergamasca non sfugge a questa logica: ormai si colgono sempre più a fatica le distinzioni culturali tra centro e periferia, e ovunque si voglia collocare il nostro territorio, è parte dei movimenti del villaggio globale. Anche se, è bene ricordarlo, solo fino a una quarantina di anni fa l’esperienza dell’orto, della campagna, della montagna, della ruralità era una necessità, una cultura e non il risultato della ricerca. Abbastanza poco perché ne resti memoria nei meno giovani.
Fuori dall’Italia si è iniziato a parlare di genitorialità vegetale di tanti Millennial che privilegiano la cura delle piante d’appartamento a figli o animali. Dobbiamo attenderci un simile trend anche da noi e con quali opportunità imprenditoriali?
Insomma, questa mi pare un’aberrazione. Non vedo come il giardinaggio possa sostituire un animale domestico – o addirittura un figlio! Restando con i piedi per terra, è proprio il caso di dirlo, imparare fin da bambini a prendersi cura di una pianta, un fiore o un ortaggio è molto educativo. Lo stesso dicasi per un animale domestico. Educa alla responsabilità e all’accettazione dei cicli naturali, di nascita, vita e morte. Lo diceva credo il professor Veronesi che senza la morte non esisterebbe la vita, sarebbe un mondo di pietre. Sicuramente meno interessante, non trovi?
Alcuni di questi giovani, dal dito verde, sono anche sostenitori dell’estetica internet di Cottagecore (a.k.a Farmcore o Countrycore) che romanticizza la vita rurale: come bergamaschi quale valore aggiunto possiamo dare per attirare nelle nostre valli questo target?
Questo è un altro discorso. Lo sviluppo dell’umanità e della civilizzazione, qualunque valore gli si voglia dare, è passato da comunità umane sempre più grandi e complesse. La città, in contrapposizione alla campagna, è sempre stato fattore di sviluppo, di crescita, non solo economica. Come la chimica ha permesso all’inizio del XX secolo di sfuggire alla trappola malthusiana e la crescita esponenziale della popolazione mondiale, così le nuove tecnologie di comunicazione possono permettere all’umanità di sfuggire all’alienazione delle metropoli. E’ una prospettiva suggestiva e un’occasione di riequilibrio straordinaria per le comunità rurali e montane, anche della bergamasca.
I consumatori sono alla ricerca di mezzi alternativi per ottenere una maggiore autonomia alimentare e desiderano avere a portata di mano i propri prodotti freschi: come le aree rurali bergamasche possono rispondere a questa esigenza?
Il km0 è sicuramente un tema importante e anche un notevole brand. Da decenni a New York si trovano i farmers market dove gli agricoltori dai sobborghi dello stato portano, a caro prezzo, sulle tavole dei facoltosi newyorkesi prodotti freschi, senza conservanti e non surgelati. Questo discorso potrebbe portarci lontano, ma per quanto auspicabile dubito che la terra bergamasca potrebbe autarchicamente sostenere la popolazione che vi risiede. Anche rinunciando alla varietà della nostra alimentazione. Quindi, è sicuramente meglio il salame nostrano di quello confezionato ma per farci bastare quello nostrano dovremmo essere disposti ad accontentarci di molto meno salame di quanto normalmente consumiamo. E a un prezzo più elevato. Siamo disposti? Questo è un fattore culturale che come dicevo porta lontano e implica tantissimi aspetti anche contro intuitivi. Ti lascio con la constatazione di contro alla diffusione di un’alimentazione a km0 stiamo assistendo anche alla diffusione di svariati all-you-can-eat della cucina orientale. Come si tengono i due fenomeni?
Nel ringraziare Lucio Brignoli (tra l’altro firma puntuale di Socialbg.it) per le risposte fornite, cogliamo l’occasione di un richiamo alla figura di San Francesco come riferimento sicuro per noi italiani per dar vita ad un possibile nostro rinascimento green possibile. Come ci indica Papa Francesco solo combinando sia gli aspetti legati al rispetto del mondo naturale (si veda enciclica “Laudato Si”) che quelli prettamente relazionali come ben descritto nella recente “Fratelli tutti”. Saremo cosi autori di un nuovo vocabolario il cui titolo potrà essere cosi sintetizzato: “di chi ti occupi”?