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Lo scorso 6 giugno è morto Gianni Clerici, uno dei più grandi giornalisti della storia. Aveva cominciato come tennista, vincendo nel 1947 e 1948 il titolo italiano di doppio juniores, ma la sua carriera agonistica non fu eclatante. Così già nel 1951 cominciò a scrivere del suo sport per la Gazzetta dello Sport e a pubblicare libri. Nel 2006 è stato inserito nella Hall of Fame del tennis mondiale di Newport – uno dei pochi a ricevere quel riconoscimento senza particolari meriti agonistici.

Ne parlo qui dopo aver letto il ricordo di Gianni Clerici pubblicato da Roberto Dipollina su la Repubblica cartacea del 7 giugno. Dipollina è critico televisivo e ha ricostruito il periodo di maggior popolarità presso il grande pubblico di Clerici, iniziato nel 1981 con la costituzione della coppia con Rino Tommasi sulle televisioni del gruppo Fininvest.

L’epoca era quella delle tv private che tentavano di imporsi sul monopolio Rai, passando anche per un rinnovamento del linguaggio e dei format. Nello sport, per esempio, l’abitudine consolidata era quella del commentatore unico, che descriveva in maniera più o meno precisa ciò che avveniva in campo. In Fininvest si aggiudicarono i diritti del basket Nba e come commentatore presero Dan Peterson, ex coach. Lui, se le partite erano punto a punto, le spiegava; se erano largamente scontate nel risultato, le ignorava e si metteva a raccontare di cose americane, di partite sui playground, di come i suo nonni danesi si incontrarono in America… cose così, apparentemente fuori dal contesto ma invece perfettamente inserite nel flusso della narrazione televisiva.

Gianni Clerici e Tommasi introdussero in Italia l’abitudine alla coppia di commentatori, che nel resto del mondo funzionava da tempo. La formula consueta era: un giornalista che descrive, una voce tecnica che spiega. Nella versione di loro due, Tommasi era l’uomo dei numeri, che snocciolava statistiche a memoria con precisione da computer. Clerici era quello che divagava, si ricordava di vecchie partite, descriveva i retroscena, parlava di gossip, ecc.

La Rai insisteva nel suo stile monocorde, anche perché il suo commentatore di punta per il tennis era Giampiero Galeazzi, un fuoriclasse nel descrivere a parole le immagini che tutti i telespettatori potevano vedere. La Fininvest aveva questi due che dicevano di tutto tranne quello che succedeva in campo.

Clerici spiegava così il loro metodo: «Non sono un reporter, i setter riportano. Sono un giornalista che narra quello che altrimenti non avreste modo di sapere» (cit. Wikipedia, nel web al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Gianni_Clerici).

Era un confronto culturale, un’idea di giornalismo e quindi di società che si contrapponeva a un’altra. Sul campo si mostravano partite di tennis, dietro le quinte si dispiegavano dinamiche politiche, economiche, sociali. Per dirne una, grazie anche alla proprietà dei canali televisivi, nei decenni successivi Berlusconi è diventato uno dei potenti d’Italia.

Adesso nelle sue televisioni, così come in quelle Rai, l’accento è diventato unico e si pone sull’enfasi, sulla retorica. Ogni partita di tennis, che sia del grande slam o di circolo, merita urla e svenimenti. È cambiata un’epoca, probabilmente in peggio.

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Guido Tedoldi

Nato nel 1965 nel milieu operaio della bassa Bergamasca. Ci sono stato fino ai 30 anni d’età, poi ho scelto di scrivere. Nel 2002 sono diventato giornalista iscritto all’Albo dei professionisti. Nel 2006 ho cominciato con i blog, che erano tra gli avamposti del futuro. Ci sono ancora. Venite.

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