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Sono andato a visitare il Museo di Scienze naturali. Mi interessava la presentazione dei materiali. Non siamo più al museo che conserva riempiendo scaffali e armadi, che ho conosciuto, ma il Museo che espone, dà le tracce, insegna, dialoga, interagisce con il visitatore. I Musei sono vari, specializzati si direbbe, ognuno con una storia, costruito con diverso materiale, diverse donazioni, secondo la sensibilità dei vari direttori. Il nostro ha ricevuto l’impronta da Caffi, professore al Vittorio Emanuele. Io ho conosciuto Rocco Zambelli negli anni ’70, geologo o paleontologo. Venne per una lezione a scuola. I bambini erano avvisati di portare un sasso. Alla fine ognuno riportava il suo sasso diventato però prezioso, suscitando la curiosità dei ragazzi delle altre classi e la lamentela benevola di qualche genitore: “Anche i sassi ci dobbiamo tenere in casa!

Al Museo di scienze naturali di Brescia, raggiunto su vaghe indicazioni di passanti, la delusione: due sale, una raccolta di animali imbalsamati, un video (interessante) per mostrare come i diversi animali secondo il loro particolare organo visivo ci vedono, un ceppo d’albero e la spiegazione sul bostrico, l’insetto che minaccia i nostri boschi. Tutto qui!? Mi hanno spiegato che il Museo sta per essere rifatto.

A Brescia (Brixia) però mi ha condotto un altro pensiero, più storico. Riguarda la vicenda dei Longobardi e in particolare l’ultimo re, Desiderio. Il Manzoni l’ha fatto conoscere come il padre di Adelchi ed Ermengarda, l’infelice sposa presto ripudiata da Carlo Magno. Un popolo, quello longobardo, “che nome non ha”: venuto da chissà dove e poi scomparso senza lasciare traccia? Non proprio.  Questi popoli invasori, etichettati come barbari, non erano estranei al mondo romano. Uniti da legami di sangue e di consuetudini, a volte condotti da leader capaci, vivevano ai margini dell’Impero, usati di volta in volta a difendere o attaccare. Roma faceva sentire la sua attrattiva e quando il potere centrale venne meno cercarono di impadronirsene. I Longobardi erano già mischiati con i Romani e con altre popolazioni prima e dopo il loro momento storico (569-774 a.C). Furono sconfitti dai Franchi di Carlo Magno, ma l’esito poteva essere diverso tanto che al sud resistettero altri duecento anni.

Desiderio perse la partita con Roma. Il Papa era in quel momento Adriano I. Non sempre i papi si erano mostrati ostili ai Longobardi. Videro di buon occhio le loro vittorie sui Bizantini quando a Bisanzio, per influsso dell’Islam in crescita, si scatenò la lotta alle immagini e alla loro venerazione. Salvo preoccuparsi quando ai Bizantini si sostituivano i Longobardi. Né garbava al vecchio patriziato romano e alla cerchia burocratica che si stava consolidando con la crescita del potere politico del Papa.

Perché Brescia? Desiderio aveva un forte legame con Brixia, forse era nato qui. Aveva voluto con la moglie Ansa il Monastero di Santa Giulia. L’aveva dotato di terreni e di beni – la famosa Croce di Desiderio – nell’ottica di un potenziamento della rete dei monasteri. Si parla di una sua figlia Badessa.  Qui, si dice, avrebbe voluto essere sepolto. A Brescia si sentiva protetto e appoggiato. C’erano divisioni interne. Desiderio aveva rafforzato i legami familiari, favorito chi l’aveva sostenuto, allontanato chi gli si era opposto. La presa del potere era avvenuta per un colpo di mano contro il suo predecessore, Ratchis, e quella parte gli rimase ostile. La battaglia si svolse alle Chiuse in Val di Susa. Cercò di sbarrare la strada all’avanzata dei Franchi. Il tentativo fallì. Si ritirò e si rinchiuse con i suoi a Pavia. Poi la resa, l’esilio e la morte.  

Nella calura dell’ora meridiana, una fuga a quel gioiello che è la Chiesa di San Giorgio, appena fuori le vecchie mura. Attraverso il Decumano massimo esuperata la Chiesa della Carità, siamo passati davanti al Capitolium, il cuore della città romana. Quando arrivarono i Longobardi questa parte era già decaduta, in parte abbandonata. Quei barbari venuti dalla Pannonia costruirono sopra le lussuose case romane case modeste, a volte palizzate. Si insediarono come fanno oggi gli emigranti nei vecchi borghi perché la città si stava spostando verso l’attuale Duomo, dove sarebbe sorta la città medievale. Sono entrato nel Museo di Santa Giulia e quando sono uscito era cambiata la mia impressione di Brescia.

L’interlocutore bresciano mi ha parlato dei costi per mantenere servizi e le bellezze della città. “Brescia è sparsa, a differenza di Bergamo tutta raccolta in alto. Bisogna girare per trovare le sue preziosità. Il Comune ha tante incombenze. Nelle sue casse però, con la A2A, sono entrati quest’anno 75 milioni di utili e…” ammiccando “… voi di Bergamo ve l’avete lasciata sfuggire”.


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