Biondi immobiliare

Mi hanno indicato Casamassima come paese blu, blu come il mare, il cielo, il manto della Madonna; segno di pace e di spiritualità.

Sulla porta della chiesa ho incontrato l’ex parroco don Carlo, capelli bianchi, dal parlare pacato. Cerco di strappargli delle informazioni. Mi accompagnerà per un’ora. “Un paese con una certa vivacità agricola?” domanda di avvio, perché  colpito dalle numerose serre viste dal treno. “E’ vero, e danno lavoro, ma non ha rallentato l’esodo. Le coppie giovani non fanno figli, tendono ad andare in città, o lontano. Non parliamo di Gioia del Colle dove sono nato: quella popolazione si è quasi dimezzata”.  Gioia del Colle? Mi viene da pensare a quando ci sono stato per dei ritrovamenti archeologici.

 Don Carlo mi spiega il nome Casamassima, da “casa di Massimo”, personaggio romano. La Chiesa ricorda quella di San Nicola di Bari, spoglia, essenziale, luminosa, i muri a conci levigati, pietra rosa tipica del romanico pugliese, rifatta nel ‘700 su una precedente costruzione del XII secolo, e ultimamente restaurata.  

Ci sono pezzi d’arte come la Madonna in trono: madre tenera, dalla veste pieghettata e manto che ricopre il capo, con il Bambino dormiente, adagiato sul cuscino che tiene sulle ginocchia, una manina dell’infante appoggiata sul ventre, l’altra a lato in fiducioso abbandono. E’ opera di Stefano da Putignano. All’altare laterale notevole è il crocifisso ligneo sporgente dalla tela, dietro Maria e gli altri in commiserazione. Da segnalare ancora la statua di San Michele, la vasca battesimale e le acquasantiere dell’ingresso.

Don Carlo mi parla del Presepio vivente appena concluso. I giovani lo organizzano ogni anno. “Erano più di 50 figuranti. Un’iniziativa che si ripete da 15 anni e richiama gente. Loro hanno il gusto dell’attualità”. E accenna al presepio in Chiesa, nella cappella laterale: un’ancora che traccia una croce le cui unghie abbracciano la scena sacra.  Mi parla della processione dei Sacri Misteri, il Venerdì Santo: “La facciamo silenziosamente, senza canti e senza banda. Si guarda e si prega a bisbigli. Bastano le statue a commuovere”.

Nei lavori di restauro della chiesa si è scoperto un cimitero, secondo l’usanza di un tempo, una grotta piena di ossa e teschi, adiacente alla vecchia cripta. “Con i lavori abbiamo ricavato tanti spazi, per la messa feriale, la catechesi e le varie riunioni. Certamente il tutto è costato, e in parte è ancora debito, nonostante i soldi della Regione.”

Mi mostra a lato della Chiesa quel che fu un convento delle suore Clarisse. E’ diviso dalla strada. Le suore avevano la loro chiesa e il loro campanile, “altrettanto belli”. Quando se ne andarono il complesso è stato adibito a carcere. Ultimamente ha avuto un uso di scuola, cinema, anche di abitazione. Sono in atto lavori di consolidamento. La presenza delle suore francescane è stata importante e l’edificio è rappresentativo del borgo antico. “Nella quiete delle mura antiche vi ha trovato riparo un falco grillaio, che torna regolarmente ogni anno dopo aver svernato in Africa”.

Percorro le tortuose stradine del borgo vecchi, le piazzette, i passaggi stretti, a volte sono senza uscita. Abitazioni ben tenute, abbellite da piante, fiori in parte agli usci e sulle scalette che si inerpicano o scendono nei seminterrati, tutto con un’intonazione natalizia. Sbuco sulla strada trafficata dove le costruzioni sono recenti. Vado in cerca della Biblioteca, nuova a quanto pare, forse non agibile ancora perché chi interrogo non lo sa. All’insegna salgo la scala, incerto. Dal vetro intravvedo una luce. Una ragazza viene ad aprirmi. E’ la bibliotecaria. Sono davanti ad una struttura nuova, attrezzata, con banco di ricezione e tavoli di studio, diverse sale, zona bimbi con bandierine e poster, ripiani per le novità librarie. Trovo una ricca sezione di pubblicazioni di storia locale che mi verrà buono in futuro. “Vuole iscriversi al nostro sistema di interscambio e così ricevere le newsletter delle nostre iniziative?” Perché no!

Da fuori si capiva che l’edificio era importante e storico. Era al limite della città vecchia. E’ Palazzo de Bellis, dal nome di una famiglia che ha origine nel Medioevo.  Divenne Convento delle Monacelle perché nell’800 un prete che l’aveva ereditato aveva creato un orfanatrofio, “monachelle” dal vestito austero che le ragazze portavano.

Arrivo sulla piazza, davanti alla torre dell’Orologio, la porta principale per accedere al borgo. Su un lato della piazza la sede del Comune, altro edificio storico, Palazzo Amenduni. Lo si deduce dal bel portale. Uno degli ascendenti fu insignito del titolo di Cavaliere aureo dall’imperatore Carlo V. I recenti eredi hanno invece ricoperto cariche amministrative e politiche, e poi sono stati ingegneri, architetti, agronomi.

“No, la Giunta non è di sinistra” mi dicono due vecchietti seduti sulla panchina della sede del PD, in parte al Comune, che godono il tepore del sole invernale mentre attorno fervono i lavori di rifacimento della piazza. Non sono soddisfatti, meglio prima. Secondo il detto: chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia e non quel che trova. Ma la mia strada del ritorno parte da qui, Via stazione.


Tagged in:

,