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Calepio conterrebbe la parola greca kalòs (bello), come in Calolzio? Che siano arrivati fin qui i Greci? La Chiesa di San Lorenzo era un tempo la pieve della valle, Valcalepio, sponda destra dell’Oglio che esce dal Lago d’Iseo, fascia collinare che va fino al Cherio, oggi zona vinicola in crescita. Si è fatto da secoli del vino buono in Valcalepio, una merce di scambio a Venezia, a Milano, in Svizzera. A Cremona si barattava con il grano.  Oggi ha un nuovo marchio doc, “Terre di Colleoni”, che produce una qualità dai vitigni originali del territorio.

Sotto il Castello si vede l’avvallamento dove scorre l’Oglio, Credaro a sinistra, Capriolo e la Franciacorta davanti, a destra invece la curva che aggira il promontorio boscoso impedendo la vista di Palazzolo. Non è facile l’entrata a Castelli Calepio dalla trafficata strada per Sarnico, la strada che ho percorso decine di volte senza badare all’insegna. Sono arrivato da Credaro, attraversando il torrente Uria, omonimo di un personaggio biblico, marito di Bersabea, il generale detto l’Ittita mandato in prima fila dal Re Davide che si era invaghito della bella donna. Il torrente ha breve corso; scende da Foresto Sparso per finire nell’Oglio.

Castelli Calepio era luogo fortificato, baluardo di guardia, fin dai Romani. Una ripida scaletta ha la scritta Porto, chiara indicazione della funzione che svolgeva. L’acqua era via di percorrenza ed energia. Nell’’800 il porto era ancora in attività quando un imprenditore di Basilea impiantò un opificio per la produzione della seta. Si vedono i finestroni che servivano per dare aria ai bachi in incubazione. E’ rimasto ed è usato come deposito, evitando così il degrado.

Dall’Oglio qui partiva il canale per le altre fabbriche del suo percorso, numerose allora nel secolo del cotone. Oggi un gommone gonfiabile e sgonfiabile ne regola il flusso.

Quanti scontri per quest’acqua e tregue momentanee! Come riporta il Belotti nella monumentale Storia di Bergamo e dei bergamaschi, in uno di questi accordi i bergamaschi si impegnarono a consegnare pelli d’orso, animali che a quel tempo suscitava timori ben più di oggi.

Castelli Calepio è raccolto in questo quieto nucleo storico? Una strettoia di muri e ingressi restaurati, qualche spiazzo, la Chiesa di San Lorenzo – tutte le chiese dove si battezzava erano titolate a San Lorenzo o San Giovanni Battista – il campo sportivo, la canonica o “Palazzetto” dato il ruolo che dovette svolgere, il Ristorante e la Villa con ampio parco seminascosto da siepi, cedri, palme e alberi da frutta? Tutto qui, mi dicevo? Si direbbe isola felice, pur nella difficoltà di accesso e uscita, con un castello disoccupato certo ma intatto nella possente cinta muraria, le merlature e il vallo. Scopro poi sul sito del Comune che il numero degli abitanti è più di 10.000, questa parte da cui tutto si originò è soltanto l’angolo nord. Il paese spostato a sud è oltre l’autostrada, all’altezza di Palazzolo.

Incontro un signore e una signora in tenuta sportiva. Vengono da Palosco, anche loro a vedere il Castello per la prima volta. “Qualche chilometro, diciamo un’ora; un percorso fuori dal traffico, o quasi. Abbiamo approfittato della giornata.” Il discorso cade su Palosco, il paese dei bottoni e dei compassi, come ne avevo sentito parlare. “E’ rimasto poco. I bottoni sì, quelli in madreperla; i compassi per un mercato di nicchia, più estero, dalla Norvegia agli Stati Uniti”. Il fratello di lui li produce e parliamo della loro visita a Milano al Museo del Design, il Compasso d’oro, premio che valorizza la qualità dei prodotti italiani.

Si affastellano i miei ricordi, del fratello piegato la sera sui fogli bianchi o lucidi, a lato l’astuccio di legno, le varie punte e l’inchiostro di china rosso e nero, e soprattutto le sfuriate per le macchie o le sbavature nel togliere la squadra. Alla Media noi disegnavamo vasi o mele, di malavoglia. Più convinte le ragazze. I compassi ricomparvero più tardi, anche nella Scuola Primaria. Si diceva che aiutasse la manualità che tutti stavamo perdendo. I ragazzi arrivavano all’inizio dell’anno con le novità, astucci a fisarmonica provvisti di tutto.

Uno sguardo al borgo che sembra un monastero e attraversiamo il ponte sull’Oglio, sulla strada che conduce a Capriolo. Era questal’antica via romana, detta l’Antoniana?


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