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L’immagine pomposa che abbiamo di Torquato Tasso in Piazza Vecchia, opera dello scultore milanese Giovanni Battista Vismara, celebra la sua gloria letteraria; quella che si trova nella casa originaria, oggi Museo, riflette il suo animo inquieto. Da Cornello de’ Tasso la famiglia si era stabilita a Bergamo, in Borgo Pignolo, e nella Chiesa di Santo Spirito i Tasso avevano uno degli altari laterali a significare la posizione sociale raggiunta.

Torquato nacque a Sorrento nel 1544. La madre era una nobildonna napoletana e in quella lingua il poeta crebbe. Lei morì quando lui era ancora ragazzo. Della sua educazione continuò a occuparsi il padre che lo portò in giro per l’Italia nella sua funzione di segretario del Principe di Salerno esiliato dalla Corte napoletana. Torquato si formò alla scuola dei Gesuiti e dai precettori di Napoli e Roma; ebbe eccellenti maestri a Urbino e a Venezia; frequentò le aule universitarie di Padova e Bologna. Presto vennero le sue composizioni letterarie.

A Bergamo Torquato giunse attorno al 1557 ben accolto dall’ampia parentela e fu un soggiorno felice. Conobbe i cugini che ricorderà sempre con affetto e la zia Afra, sorella del padre Bernardo emonaca di clausura in Città alta a Santa Grata, con la quale resterà sempre in contatto epistolare, anche in tempi avversi.  A Bergamo dedicherà un sonetto, in realtà un omaggio al padre che da questa terra aveva preso i natali, “terra che ‘l Serio bagna

Approdò a Ferrara e furono anni felici e di successo. Fu poeta della Corte. Le letture che faceva della Gerusalemme liberata, ancora in cantiere, suscitavano entusiasmo di cortigiani e dame. Poi qualcosa s’incrinò. Il suo animo sensibile non resse alle contraddizioni del tempo. Tempeste si agitavano dentro e fuori. Sgarbi, gelosie e odi agitavano la piccola Corte estense. L’equilibrio degli Stati italiani era saltato. Si era esacerbato il conflitto tra Chiesa cattolica e protestante.

Diede segni di squilibrio, o forse erano indicazioni di uno stato d’animo che alle regole del mondo, che pur amava, non sapeva sottostare? Fu segregato come pazzo nell’Ospedale di S. Anna. La sua poesia non cessò, pur in quelle condizioni continuò a scrivere. Dopo otto anni ottenne la libertà.

Vagò per l’Italia. Rivide la sorella a Sorrento e tornò a Bergamo. Tentava di ritrovare la pace dell’animo. In tale stato d’animo si può pensare a una visita a Camerata Cornello, il luogo delle origini.

Lo immaginiamo una mattina mettersi in carrozza e scendere da Porta S. Lorenzo per dirigersi verso la Valle. Il viaggio poteva durare l’intera giornata. Perché non pensare ad una sosta a Sedrina davanti alla nuova Chiesa progettata dal Codussi? non solo per ammirarne la facciata ma anche per vedere la pala di un pittore di cui aveva sentito parlare e che gli era consono, capace di esprimere affetti familiari e di intimità come Lorenzo Lotto. Riprese il cammino superando il ponte che allora era poco più di una passerella sul precipizio che dava i brividi. Arrivò allo slargo di Zogno. Sognava di rivedere quel mondo di persone e gesti semplici donde il padre era venuto e che non riusciva a costruire nella sua vita. Troppi fastidi, incombenze, accomodamenti gli costavano.

Si fermò davanti alla Chiesa di San Giovanni Bianco ad omaggiare e pregare davanti alla Sacra Spina, che la tradizione considerava appartenente alla corona di spine di Gesù condannato. L’aveva qui portata cento anni prima un soldato, un certo Zignoni, dopo averla trafugata dal campo francese di Carlo VIII, all’inizio di guerre rovinose per l’Italia. Torquato era profondamente religioso e in lui la religiosità si trasfigurava in poesia.

In un gioco di restringimenti e dolci pendii, tra natura selvaggia e radure conquistate con il duro lavoro dell’uomo, arrivò a Cornello sulla via mercatorum. La via Priula, ormai in progetto, sarebbe passata sotto, vicino al Brembo. Apparve il grumo di case addossate, a sostenersi e proteggersi. La carrozza si fermò sotto le arcate illuminate dagli ultimi raggi di sole e risuonarono le voci amiche di chi gli era rimasto nel cuore. Il soggiorno sarebbe stato breve. Il godimento di quei momenti di familiarità e di incanto presto finì. L’ansia lo portava altrove.

Trascorse gli ultimi anni a Roma, sul Monte Oliveto nel Monastero di S. Onofrio. Non cessò di scrivere. Nel clima della Controriforma rivide e rifece il poema della Gerusalemme e si preparò alla morte. L’avvertì e con i frati del convento si congedò per l’ultima conversazione in cielo, raccomandando: “pregate Dio per me”.


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