In Seminario il giovedì era il felice giorno della partita di pallone; il nostro campo era nel quartiere Colognola secondo il sottinteso “più giovani, più lontano”. Se si trovava il campo occupato pur di giocare si proseguiva fino ad Azzano. Finito il pranzo si partiva schierati per tre. Lungo via Arena, giù a Porta s. Giacomo, si continuava per via S. Alessandro e a Piazza Pontida; alle Cinque Vie si imboccava via S. Bernardino. Al sottopassaggio della Ferrovia si intravvedeva in fondo Colognola. Con la meta in vista la marcia si faceva più sostenuta, ogni minuto prezioso per il rientro alle cinque e mezza quando bisognava farsi trovare lavati e cambiati sui banchi di studio.
Erano gli anni ’60. Ci capitò di imbatterci in qualche fuoruscita di operai del Gres in sciopero. Ci guardavano tra il sorpreso e il divertito. Noi intenti ancora agli ultimi ritocchi delle squadre non ponevamo attenzione a sorrisetti o a battute, magari da chi sventolava una bandiera rossa. Non creavamo intralci al traffico fatto per lo più di bici e moto. Seguivamo il vecchio tracciato del Tram di Lodi; le rotaie erano sparite ma c’erano sopra la nostra testa i fili del Filobus 6 – interdetto a noi – con capolinea a Colognola. Una volta superata la roggia Guidana che piega a sud e abbraccia – quasi fossato di difesa – la parte occidentale del paese, eravamo, si può dire, arrivati.
Secondo i propri gusti, diversità che si sentiva anche nel dialetto nonostante il tassativo obbligo di parlare in italiano – mi prendevano in giro per il mio “balèna” al posto di “balìna”, la pallina del calciobalilla – si commentava quel che attirava l’occhio. Sentivo parlare dal compagno di Campagnola di una cascina detta Canovine e della Chiesa vicina (S. Sisto in agris). L’assistente che ci accompagnava nel quartiere Colognola spiegava dei lavori di ristrutturazione dell’Istituto delle Sacramentine – oggi ricovero di suore – per la necessità di nuove classi oltre la capienza della Casa Madre di via S. Antonino. Noi eravamo la generazione dei baby boom, l’ultima esplosione demografica finita la guerra. Guardando la torre che si elevava sulle case, l’amico appassionato di caccia commentava “troppo facile prendere i passeri così!”. attraverso le fessure entravano i passeri a fare nidi. Apparteneva alla famiglia Tasca che si era affermata sotto la Repubblica veneta, a differenza dei Suardi, che erano stati fino a quel momento i grandi padroni di case e terre intorno. Rovesciamenti di fortune in tempi di crisi. La rivoluzione napoleonica favorì in parte, oltre la bravura, il nostro illustre architetto Giacomo Quarenghi che qui acquistò proprietà.
Allora la parte sinistra della strada era libera da case, non c’era la chiesa né i condomini; si poteva vedere il campo sportivo. Qui si era spostata la Piazza civile, non più sagrato, intitolata a Emanuele Filiberto di Savoia, cugino del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, dove risaltava il marmoreo Monumento ai Caduti (1922). Colognola fu Comune autonomo nel 1816; divenne parte del Comune di Bergamo nel 1929.
Oggi possiamo entrare nella parte antica del quartiere Colognola per via Carlo Alberto, un tempo strada principale, “l’antica via di Levate“. Si arriva alla Chiesa di S. Sisto sconsacrata ma ben conservata, dalla facciata barocca, opera dell’architetto di Romano Gian Battista Caniana (1754). Sull’altare maggiore della chiesa era collocata – ora è nella Parrocchiale – la tela del pittore Gian Giacomo da Cornate (1577) la Madonna con il bambino in trono e i Santi Pietro e Sisto. San Sisto, papa e martire del III secolo, raffigurato in un energico richiamo alla fede, fece da moderatore nell’acceso dibattito che lacerò la Chiesa primitiva in seguito alle persecuzioni. Essere tolleranti o rigidi con i lapsi, chi nel momento della prova si era tirato indietro? Accoglierli di nuovo o rifiutarli? Una tematica che si agita nei nostri giorni.
Il campanile (1901) del quartiere Colognola, che risalta nella sua slanciata eleganza, è opera dell’architetto locale Venanzio Muzio, formatosi a Brera. Del figlio Giovanni Muzio, docente universitario e accademico d’Italia, è il progetto della Chiesa Nuova (1966). La strada conduce fuori dell’abitato alla Chiesa di S. Pietro ai Campi, la cui origine si perde nel Medioevo e che al vederla così circondata dal verde distende l’anima. Prendendo per Via della Vittoria si passa davanti al neoclassico tempietto della fonte – senz’acqua – in direzione della Costantina, altro esempio di cascina lombarda conservata, oltre il cimitero.
Il quartiere Azzanella era in cantiere. Noi, finita la partita, cambiavamo la veste talare usata in partita, tenuta alzata da un legaccio in vita, e ci mettevamo in fila per tornare, attenti all’orario, “altrimenti la prossima volta saltiamo”. A testa bassa recriminando di passaggi mancati e per le distrazioni della difesa si incominciava a pensare all’esperimento di greco del giorno dopo.