Sarà stato il ’22, forse nel giorno di San Martino, patrono dei traslochi. Mio nonno partiva da Monte Marenzo, sul carretto la famiglia, per trasferirsi a Calolzio in località Malpensata, dove ogni angolo di paese aveva un nome. A Monte Marenzo – per noi San Pàol – c’era Costa, Fopa, Furnas, Furscèla, Zòc, nomi che si possono capire.
Più difficili da interpretare Bisù (biscione), Böt (altura), Leàda (alzata), Pudì con una cappella, Berlioch, Spajà (spazio?), la val Màrscia che scendeva dai Corni di Bisone, Scarlàsc (per i ruderi di un castello), Caròbe allo snodo di strade, Raanèr, Sceregal. Luoghi e famiglie, terre e mestieri, chi per la vite o il frumento, chi per il pascolo o l’erba e il fieno, su per i boschi a raccogliere legna e castagne, oppure giù al lago di Brivio a pescare e cacciare interdetto secondo l’accordo tra Venezia e Stato di Milano che assegnava l’Adda e tutto ciò che stava intorno ad esclusivo usufrutto dei sudditi milanesi. Tipi di vita e difficoltà di lavoro, destini e fortune, alleanze e protezioni, barriere protettive e ostilità, identità fisiche e caratteriali, mondi di un mondo, dove oggi tutto si è livellato e diventato anonimo, la casa qui e il lavoro là, all’Iperal, al bar, in palestra, o un’altra Casa di ricovero, qui chiusa, nel continuo imperterrito andirivieni di macchine.
Certi nomi indicavano la provenienza, perché anche un tempo si muovevano. I Manzoni da Marenzo, i Valsecchi da Valsecca, i Villa da Villa d’Adda, i Carenini da Carenno, così per i Lavelli, i Brivio. Ho scoperto che i Malighetti, venivano dalla brianzola Rogeno, vicino al Lago di Pusiano, mentre la nonna Bonaiti da Sopracornola. Mobilità in una società immobile, a cercare fortuna.
Monte Marenzo se n’è andato da Bergamo. Fa parte della provincia di Lecco seguendo Calolzio che da piccolo che era è diventato polo d’attrazione della Valle. Le donne agli inizi del ‘900 scendevano – magari cantando – per i cantèi sulla mulattiera che le portava in filanda a Sala e quando i Barachetti ne costruirono un’altra nella frazione Ravanaro fu per loro una benedizione. Al mercato bisognava andare a Caprino, il dottore e l’ostetrica venivano da Torre de Busi. Nel 1930 allestirono la carrozzabile per Calolzio, sulla destra del torrente Carpine, torrentello a prima vista ma minaccioso in tempi di bombe d’acqua.
Monte Marenzo in pieno Medio Evo guardava in alto, a Carenno dove c’erano i Rota, signori arricchiti per i panni di lana, dove Tuzzano era despota oltre che capitano di ventura, sempre alla ricerca di soldati da reclutareal soldo della Repubblica veneta. I mercanti viaggiare in alto, pagando dazi ma più sicuri.
San Carlo che era interessatissimo alle zone di confine perché le eresie, come i briganti, passavano da una valle all’altra, arrivò in Val San Martino nel 1566. Trovò, puntiglioso com’era, irregolarità a Monte Marenzo che era diventata parrocchia autonoma dagli inizi del secolo. Certi proprietari terrieri, tra cui i Carrara, si spartivano gli affitti della parrocchia, non sborsavano le offerte raccolte, allungavano le mani sulle nomine con la complicità del parroco. Fece muovere l’inquisitore di Bergamo. Mi è sembrato un riverbero storico la scritta, un pò inusuale, sopra l’entrata laterale, tratta dal Levitico, Pavete ad sanctuarium meum (venite al mio santuario ma con timore). La data è del 1816 quando la chiesa fu di nuovo restaurata.
A San Carlo hanno dedicato un quadro, lui ad indicare il Crocifisso, come dire “guardate lui che scelse di morire per noi perché noi non morissimo di doppia morte” come dice una bella cantata che sembra un perfetto accompagnamento al dipinto. “In te s’infiammi il cuor, o crocifisso amor” pare bisbigliare San Gerolamo Emiliani in visione orante anche se gli orfanelli attorno paiono distratti dalla nostra intrusione.
Ci sono gli affreschi ispirati alla vita dell’Apostolo patrono. Sulla volta “San Paolo sdegnato dall’incredulità dei filosofi di Atene”. Merita uno sguardo la bella Adorazione dei Magi, sulla porta di entrata; pare uscita dal laboratorio dei pittori di Bassano del Grappa. L’abbraccio dei cipressi ci accoglie sul sagrato.
San Carlo trovò aperta, e con uso improprio, l’altra Chiesa di S. Alessandro, antica anche quella, dedicata non al legionario patrono di Bergamo, che ha pure una statua, ma ad un altro martire omonimo, romano e Papa. Nel meraviglioso dipinto di Enrico Scuri recentemente restaurato, tra i Santi facilmente riconoscibili dai simboli tradizionali appare un illustre prelato dal volto emaciato, a capo scoperto e calvo, vestito in abiti liturgici, la tiara sorretta da un angelo, e in contemplazione della Vergine e del divino fanciullo. La famiglia Corazza, tra le famiglie proprietarie di case e terre per secoli,si occupò del restauro della chiesa. Ravanaro, la frazione dove si trova, è un insieme di costruzioni risalente all’epoca medievale.
Resterebbe da dire sul Monte S. Margherita che domina il paese. Recenti scavi hanno rivelato un’interessante area archeologica, ruderi di una fortezza, un piccolo oratorio e affreschi di non poco conto che hanno aperto pagine nuove sulla storia di questi luoghi. Non ci sono arrivato.